Buoni pasto, l’Iva varia con il tipo di pagamento
Scorporo con aliquota al 4% sul prezzo in contanti e con il 10% per il ticket
Iva variabile a seconda del mezzo utilizzato per pagare il pasto in mensa. Sono le conclusioni della risposta a interpello 231, riguardante il caso di una società che gestisce mense aziendali e che accetta il pagamento del pasto da parte del dipendente sia in contanti (o con mezzi equivalenti) sia a mezzo buoni pasto rilasciati da altro soggetto (emittente) con cui la società ha stipulato apposita convenzione per il ritiro dei ticket restaurant.
Il dubbio concerne la corretta applicazione dell’aliquota Iva a seconda della modalità di pagamento adottata, anche nella particolare ipotesi in cui il pasto sia pagato parte in denaro e parte con buono. La risposta punta l’attenzione sulla rilevanza dei rapporti instaurati con la società/gestore della mensa. Nel caso in cui il dipendente paghi in denaro (o con mezzi simili), la relazione rilevante è quella fra gestore e datore di lavoro, in forza della quale il primo si obbliga a fornire la prestazione ai dipendenti del secondo. In tale ipotesi, la somministrazione sconta il 4 per cento in base al n. 37), Tabella A, parte II allegata al Dpr 633/72. Il relativo corrispettivo, peraltro, è esente da obblighi di certificazione, emissione del documento commerciale e memorizzazione/trasmissione telematica. Quando è utilizzato il buono pasto, invece, rileva la prestazione fra gestore della mensa ed emittente dei ticket e si applica l’aliquota del 10 per cento (n. 121, Tabella A, parte III). Il gestore emette fattura all’emittente e la base imponibile si determina applicando al valore facciale del buono lo sconto convenuto e scorporando quindi l’imposta. Le diverse modalità di documentazione dell’operazione si riflettono anche sulla tenuta del registro dei corrispettivi. Per i pagamenti misti (in contanti e a mezzo buono pasto) si applicano le stesse regole. Quindi, sul prezzo pagato in contanti si scorpora l’Iva al 4 per cento e sulla quota relativa al buono si scorpora l’imposta al 10 per cento.
Resta la distonia di una differenziazione sulla forma di pagamento poco giustificabile in quanto è sempre il lavoratore, in ultima analisi, a fruire del servizio.