Contabilità

Carico fiscale oltre l’85% in caso di recesso del socio

di Marco Piazza

Il regime di tassazione dei dividendi è ormai decisamente disarmonico. Uno dei casi che lo mette meglio in evidenza è quello in cui:

il socio di una società semplice esercita il diritto di recesso esigendo la liquidazione del valore della propria quota;

la società semplice, per procurarsi la necessaria liquidità, si fa distribuire dalle controllate un corrispondente dividendo.

Supponiamo, ad esempio, che il valore fiscale delle quote della società semplice detenute dal socio sia 10mila e che, per effetto del recesso – esercitato nel corso del 2019 – abbia diritto ad un importo di 1 milione.

La società semplice, nel corso del 2019, si fa distribuire 1 milione di riserve di utili dalla controllata, che sono così formati (la controllata ha esercizio coincidente con l’anno solare):

utili prodotti nell’esercizio 2017: 200mila euro;

utili prodotti nell’esercizio 2018: 800mila euro.

Nel quadro RL della dichiarazione dei redditi della società semplice per il 2019 compariranno utili imponibili per 916.280, considerato che gli utili formati con redditi prodotti dalla controllata nel 2017 sono abbattuti al 58,14 per cento.

In base all’articolo 5 del Tuir questi redditi concorrono a formare il reddito complessivo dei soci superstiti anche se non sono incassati da loro perché vengono utilizzati per pagare il socio receduto. Tenuto conto dell’Irpef e delle addizionali, il carico fiscale complessivo potrebbe superare il 41 per cento. In base all’articolo 68, comma 6, del Tuir, i redditi stessi aumentano il costo fiscale della partecipazione dei soci superstiti.

Anche il socio receduto, però, è tassato – in base all’articolo 20-bis del Tuir, su un reddito di 990 mila euro, pari alla differenza fra la somma percepita e il costo della sua partecipazione. Ipotizzando che possa beneficiare della tassazione separata perché possedeva la partecipazione da oltre cinque anni (articolo 17, comma 1, lettera l del Tuir) e che la media dei redditi prodotti nel biennio precedente a quello in cui è sorto il diritto all percezione sia di 15mila euro a cui corrisponde un’aliquota del 38,4%, subirà un’imposizione di 381mila euro.

La tassazione complessiva causata dal recesso supererà i 790mila euro (su un milione di valore della quota del socio receduto). Se si tiene conto (come è giusto fare) dell’Ires e dell’Irap pagate dalle società operative che hanno prodotto il reddito distribuito alla società semplice il carico fiscale complessivo supera l’85 per cento.

Questo effetto distorsivo viene risolto, nel caso in cui il socio receda da una società commerciale o da un’associazione professionale, ammettendo in deduzione dal reddito d’impresa o di lavoro autonomo della società o associazione la cosiddetta “differenza di recesso” corrisposta al socio uscente, così come individuata, fra le altre, dalla risoluzione 64/E del 2008.

Quando però la società di persone non svolge attività commerciale né attività professionale, non si trova un rigo nella dichiarazione dei redditi delle società di persone che consenta fare questa deduzione che pure sembrerebbe logica.

In attesa di chiarimenti, per attenuare il danno potenziale pare opportuno che le holding costituite in forma di società semplice tendano a farsi distribuire i dividendi man mano che vengono prodotti gli utili da parte delle controllate. In questo modo si otterrà almeno l’effetto che gli utili siano tassati in capo ha chi ha il diritto attuale di percepirli e che, per il socio receduto, avendo concorso alla formazione de suo reddito complessivo si aggiungano al costo della sua partecipazione, così da normalizzare il calcolo del suo imponibile soggetto a tassazione separata.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©