Controlli e liti

Cessione di animali al soccidante senza riflessi sulla detrazione Iva

Secondo la Cassazione la cessione degli animali al soccidante non preclude la detrazione dell’Iva in capo al soccidario

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di Alessandra Caputo

La cessione degli animali al soccidante non preclude la detrazione dell’Iva in capo al soccidario. Ad affermarlo è l’ordinanza 15764/2023 della Cassazione, pubblicata il 6 giugno scorso.

All’origine della questione una richiesta di rimborso dell’Iva assolta sull’acquisto di beni strumentali da parte del soggetto che, nell’ambito del contratto di soccida, rivestiva la qualifica di soccidario; avverso la richiesta, l’Ufficio notificava un diniego ritenendo che il contribuente non avesse diritto a detrarre l’imposta in quanto la vendita era stata eseguita dal soccidante.

La soccida è un contratto disciplinato dagli articoli 2178 e seguenti del Codice civile attraverso cui due soggetti, soccidante e soccidario, si associano per lo svolgimento dell’attività di allevamento. Il soccidante è il soggetto che apporta gli animali e dirige l’allevamento; il soccidario, invece, è il soggetto che cura gli animali e li alleva.

Il contratto di soccida termina con la ripartizione degli accrescimenti vale a dire con la ripartizione dei frutti dell’attività. In particolare, alla fine del contratto, si procede con la stima degli animali: il soccidante preleva una quantità di animali che corrisponde al suo apporto iniziale mentre il di più (gli accrescimenti, appunto) si ripartiscono tra l’uno e l’altro in una misura che varia a seconda degli accordi contrattuali.

Il soccidario ha due possibilità: vendere direttamente gli animali oppure “monetizzare”; in tale ultimo caso, il soccidante preleva a fine ciclo tutti gli animali per la vendita e corrisponde una somma di denaro al soccidario a titolo di riparto utili. La “monetizzazione” degli accrescimenti di spettanza del soccidario non è disciplinata da alcuna norma di legge, ma ammessa solo in via interpretativa dalla prassi ministeriale e, in particolare, dalla risoluzione 504929 del 7 dicembre 1973,

La risoluzione in questione prevede, quindi, la possibilità di considerare non soggetta a Iva la liquidazione in denaro della quota di accrescimento spettante al soccidario se sussistono due condizioni: che tale “opzione” sia prevista contrattualmente e che sia effettivamente manifestata. In caso di monetizzazione, la stessa risoluzione preclude la detrazione dell’Iva in capo al soccidario per mancanza di operazioni attive imponibili.

Nel caso oggetto della sentenza, tuttavia, la cessione della quota parte di prodotti al soccidante era stata regolarmente fatturata a quest’ultimo da parte del soccidario e ciò, a parere dei giudici era sufficiente a considerare l’operazione come regolare senza che rilevasse la circostanza che la cessione fosse avvenuta nei confronti del soccidante anziché a terzi soggetti.

Ricordano i giudici (citando la propria sentenza 987 2022) che nell’ambito del contratto di soccida sono da considerarsi imprenditori agricoli tanto il soccidante quanto il soccidario e che, pertanto, con riferimento alla cessione di prodotti agricoli entrambi hanno diritto ad applicare il regime speciale previsto dall’articolo 34 del Dpr 633/1972; a maggior ragione, sostengono i giudici, hanno diritto ad applicare quello ordinario che prevede la detrazione dell’imposta.

Concludono poi i giudici affermando che il diritto alla detrazione in capo al soccidario non trova ostacolo nemmeno nel caso in cui nel contratto sia prevista la monetizzazione poiché si tratta di una circostanza che attiene ai rapporti interni tra gli associati non pertinente a qualificare l’attività del soccidario.

Da qui l’accoglimento del ricorso del contribuente e l’annullamento dell’originario diniego al rimborso Iva.

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