Cessione del fabbricato datato non assimilabile alla vendita di area edificabile
In ambito tributario, la vendita di un immobile non coincide con la cessione di un terreno edificabile generatore di plusvalenze fiscalmente rilevanti, anche nel caso in cui il fabbricato è obsoleto e in precario stato di conservazione. A stabilirlo è stata la sezione XVIII della commissione tributaria regionale della Lombardia con la sentenza n. 2942/2017.
È illegittimo, pertanto, un avviso di accertamento con il quale l'amministrazione finanziaria mira ad assoggettare a imposizione una “sedicente” plusvalenza, qualora il rogito notarile riguardi un fabbricato pericolante, tassabile - a parere dell'Agenzia delle Entrate - in funzione della potenzialità edificatoria del terreno sottostante in seguito all'abbattimento della costruzione.
L’accertamento
La controversia era nata da un avviso di accertamento con cui l'amministrazione finanziaria mirava ad assoggettare a imposizione una plusvalenza formatasi in seguito alla cessione di un'area edificabile, come disposto dalla lettera b), primo comma, articolo 67 del Dpr 917/1986 e non dichiarata.
Presentando ricorso in Ctp, i contribuenti spiegavano che la cessione riguardava un fabbricato posseduto da oltre 5 anni e pertanto non assoggettabile a tassazione, in base all’articolo 67, comma primo, lettera b), prima parte, difformemente da quanto prescritto per le aree fabbricabili, disciplinate nel secondo capoverso della lettera b) secondo la quale sono soggette a imposizione «in ogni caso, le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione».
La prova
La Ctp di Milano, accogliendo i ricorsi riuniti dei soggetti interessati, sosteneva che il rogito notarile provava appunto la vendita di uno stabile. L'amministrazione, tuttavia, insisteva nella sua pretesa depositando appello alla regionale.
La Ctr Lombarda, però, ha confermato la decisione del primo collegio sulla base della recente giurisprudenza di legittimità che ha ritiene corretto il comportamento dei contribuenti (Cassazione n. 4150/2014 e Cassazione n. 15629/2014) in quanto: l'atto di compravendita faceva esplicito riferimento a un immobile e non a un terreno, puntualmente riportando i dati catastali; le imposte di registro applicate erano quelle corrispondenti alla cessione dei fabbricati e non delle aree edificabili; il fabbricato non risultava essere collabente, considerato che i proprietari pagavano l'Ici in misura piena.
L’orientamento della Cassazione
Ancora più eloquenti risultano essere, tuttavia, le successive sentenze n. 15630 e 15631 del 2014, nelle quali i giudici del Palazzaccio hanno ricostruito rigorosamente la ratio sottostante all'articolo 67 del Tuir affermando che «ciò che rileva, dunque ai fini dell'applicabilità della norma in esame, è la destinazione edificatoria originariamente conferita, ad area non edificata, in sede di pianificazione urbanistica e non quella ripristinata, conseguentemente ad intervento su area già edificata operato da cedente o cessionario».
Tale orientamento, favorevole ai contribuenti assoggettati all'Irpef e afferente alla non imponibilità delle plusvalenze concernenti le cessioni ultra quinquennale dei fabbricati a soggetti che in seguito ne dispongono la demolizione, è stata ulteriormente rafforzato dalla Corte Suprema attraverso le ordinanze n. 15920/2017 e n. 4361/2017, confermando che qualora un fabbricato risulti essere edificato, non è possibile, in ottemperanza a quanto disposto dall'articolo 67, comma 1, lettera b) del TUIR, riclassificarlo in area edificabile, sebbene le parti abbiano pianificato la demolizione post cessione, essendo la potenzialità edificatoria soggiacente a circostanze il cui compimento è futuro e incerto oltre che dipendente dalle scelte di un soggetto differente rispetto a quello che rimane inciso dall'imposizione tributaria.
Ctr Lombardia, sentenza 2942/2017