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Cessione del superbonus possibile con set documentale ridotto

Quando c’è un finanziamento potrebbe essere percorsa la via di Poste che acquistano i crediti «sul sicuro»

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di Alessandro Borgoglio

Il vero motivo del grande interesse riscosso dal superbonus è molto probabilmente la possibilità di optare, in lungo della detrazione del 110%, della cessione del credito d’imposta a banche e altri istituti finanziari, che possono, appunto, acquistare tale credito, come stabilito dall’articolo 121 del Dl 34/2020. In realtà, le opzioni ammesse dalla norma sono molteplici e contemplano anche la possibilità di sconto in fattura e di cessione del credito a soggetti diversi dagli intermediari finanziari, comprendendo anche i parenti del beneficiario.

Nella prassi quotidiana lo sconto risulta però poco applicato, perché, se i grandi gruppi forse possono in qualche misura proporlo, le piccole imprese non riescono a sobbarcarsi tutti questi crediti di difficile smaltimento. E anche perché – come evidenziato sul Sole 24 Ore del 15 marzo scorso – le condizioni a cui vengono finanziate le imprese (anticipo fattura) sono assai meno favorevoli di quelle ottenibili dai privati.

Non c’è da stupirsi che la via più battuta sia quindi quella della cessione del credito d’imposta alle banche, le quali propongono offerte molto diverse, anche per quanto concerne i prezzi di acquisto di tali crediti.

La mole documentale

Un ostacolo al pieno ed efficace sviluppo del mercato dei crediti d’imposta attraverso il canale bancario/finanziario è dato dalla mole di documenti che gli intermediari finanziari ancora chiedono al cedente: sono state stilate delle check-list con 30/40 documenti da esibire allo sportello, tanto che le grandi banche hanno dovuto necessariamente appoggiarsi a società di consulenza tributaria per gestire questa massa di documenti e verificarla.

A ben vedere, si tratta di richieste informative e documentali che non sempre hanno un’utilità per chi acquista i crediti: l’articolo 121, comma 6, del Dl 34/2020, infatti, stabilisce che, qualora sia accertata la mancata sussistenza, anche parziale, dei requisiti che danno diritto alla detrazione del 110%, il recupero dell’imposta è effettuato nei confronti del soggetto beneficiario, ferma restando, in presenza di concorso nella violazione, anche la responsabilità in solido del fornitore che ha applicato lo sconto e dei cessionari.

Se qualcosa va storto e il contribuente perde il superbonus, insomma, ne risponde lui e non la banca che ha acquisito il relativo credito d’imposta: è vero che la norma parla di responsabilità in solido del cessionario, nel caso di concorso nella violazione, ma nell’ipotesi di cessione dei crediti alle banche, che sono un soggetto terzo rispetto alle parti coinvolte negli interventi (imprese, professionisti e beneficiario), tale responsabilità in solido per concorso nella violazione assume più i connotati di una teoria che di una possibilità pratica.

La via semplificata

Ecco perché – come si accennava – in molti casi, soprattutto quando non c’è la necessità di garanzie per un “finanziamento ponte” fino all’erogazione del pagamento per la cessione dei crediti, potrebbe essere sproporzionato richiedere tutta quella documentazione da parte delle banche, che di fatto non rischiano nulla, acquisendo tali crediti. Di ciò, in effetti, qualcuno se n’è accorto: Poste Italiane, per esempio, non chiede alcun tipo di documentazione per acquistare i crediti d’imposta, limitandosi a prevedere la trasmissione della comunicazione di cessione del credito sulla piattaforma delle Entrate.

Pesa probabilmente il fatto che le Poste non erogano alcun tipo di finanziamento ponte, quindi non restano mai “esposte” nei confronti del cittadino che sta eseguendo i lavori, ma comprano il credito d’imposta “sul sicuro”, quando l'operazione è stata già asseverata e vistata. Resta comunque una via percorribile anche da altri potenziali acquirenti, soprattutto quando non entra in gioco la variabile del finanziamento.