Concordati di gruppo fra autonomia delle masse e trasferimenti di risorse
La rubrica in collaborazione con l’Istituto per il governo societario
Nella logica di privilegiare il carattere unitario del gruppo, l'imprenditore potrà elaborare un piano concordatario di gruppo che contempli operazioni contrattuali e riorganizzative infragruppo funzionali alla continuità aziendale di alcune imprese e/o alla liquidazione di altre, purché confacenti al miglior soddisfacimento delle ragioni dei creditori di ciascuna impresa. In altri termini, rimanendo fermo il principio di separazione delle masse attive e passive, sarà necessario, per poter porre in essere le operazioni infragruppo sopra citate, dimostrare che i creditori di ciascuna impresa non solo non saranno penalizzati dal piano di gruppo, ma al contrario ne trarranno effetti positivi.
Il problema principale non attiene tanto al principio della separazione delle masse in sé – il quale, peraltro, sarebbe assolutamente coerente con la logica sino a qui adottata (i.e.: quella di leggere il concordato di gruppo come un fascio di negozi tra loro collegati) –, quanto piuttosto ai corollari che da quest'ultimo sono stati fatti discendere. Sotto il piano processuale, la separazione delle masse attive implica la necessità che nei concordati di gruppo vengano redatti separati elenchi dei creditori per ciascuna delle società partecipanti e vengano tenute votazioni distinte, senza poter giungere a forme di aggregazione nel voto e nel calcolo delle maggioranze trasversali rispetto alle diverse società.
Gli stessi principi ispiratori della riforma si ritrovano anche nella disciplina relativa alla gestione della liquidazione giudiziale di gruppo. Invero, l’articolo 287 del Codice delle crisi d’impresa prevede che più imprese in stato di insolvenza possano essere soggette a una procedura unitaria di liquidazione giudiziale quando risulti indispensabile un coordinamento nella liquidazione degli attivi in funzione dell'obiettivo del migliore soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo, ferma restando la reciproca autonomia delle loro rispettive masse attive e passive.
Emerge in modo evidente, sia con riguardo al concordato di gruppo che rispetto alla liquidazione giudiziale di gruppo, il riaffiorare della teoria dei vantaggi compensativi di cui all'art. 2497 c.c., seppur in forma, per così dire, controllata e volta segnatamente a favore dei creditori.
In virtù di tale teoria, l'interesse individuale può essere sacrificato in una logica di gruppo quando l'impresa riceva per altro verso vantaggio dalla sua partecipazione al gruppo. In tal senso, il rischio da neutralizzare in ipotesi di procedure concorsuali di gruppo è quello per cui avvengano travasi di denaro da una ad altra impresa del gruppo, con pregiudizio dei creditori delle singole imprese.
Il Codice delle crisi d’impresa, ribadendo il profilo dell'autonomia delle masse attive e passive, ammette altresì trasferimenti di risorse infragruppo.
Ma il tema che più rileva è la previsione, da un lato, della necessità di mantenere autonome le masse attive e passive, e dall'altro, invece, la possibilità di ammettere che il piano preveda trasferimenti di risoluzione.
Diffusa è la tendenza a considerare queste due regole tra loro contraddittorie o tendenzialmente contraddittorie in quanto sembrerebbero offrire una soluzione contrapposta ed incompatibile allo stesso problema e cioè al problema cosiddetto “distributivo”.
In particolare, l'autonomia delle masse dovrebbe militare a favore dell'applicazione rigida anche al concordato dell'articolo 2740 e il trasferimento di risorse sembrerebbe invece rappresentare una deroga o una violazione di questo canone.
Allora, a parte qualche remora sulla tendenza a tentare di risolvere il problema distributivo nel concordato richiamando tout court l'articolo 2740, in verità tra la regola dell'autonomia e quella della legittimità del trasferimento di risorse non c'è una contraddizione e, comunque, nessuna di queste due regole incide sulla soluzione da dare al problema distributivo. Problema distributivo che, quindi, resterà indipendente da qualsiasi opinione si abbia sulla disciplina del concordato di gruppo.
L'autonomia delle masse è una espressione che la legge riferisce sia al concordato che alla liquidazione di gruppo ma che assume nei due contesti un significato molto diverso, perché nella liquidazione giudiziale indica che il valore di ciascuna massa attiva deve essere destinato esclusivamente alla soddisfazione della relativa massa passiva: è un problema, diciamo così, di patrimoni. Infatti, non è un caso che quando la legge, nel disciplinare il fallimento della società e dei soci responsabili, vuole sottolineare questa esigenza parlando di distinzione di patrimoni.
Nel concordato, invece. questo tema deve in qualche modo fare i conti con la mediazione dell'esistenza di una proposta, il che comporta uno slittamento un po' semantico del concetto di massa attiva, di quello di massa passiva e dell'autonomia delle masse attive e passive. Mentre nel concordato la massa attiva in realtà indica l'oggetto della proposta e la massa passiva, che è la massa votante, indica i destinatari della proposta. Allora, l'autonomia della massa attiva e passiva nel concordato implicherebbe l'esigenza di un rapporto biunivoco tra oggetto e destinatari della proposta, nel senso che ciascuna proposta deve avere ad oggetto solo una massa attiva e deve essere sottoposta alla regolazione unicamente della relativa massa passiva.
Pertanto, la regola della autonomia delle masse, da un lato ha senso soltanto nell'ambito di un gruppo o, comunque, nell'ambito di procedure tra loro collegate e nemmeno implica a rigore l'unicità della proposta, perchè nell'amministrazione straordinaria si parla di proposta unica ma di autonomia delle masse attive e passive; dall'altro però, riguarda soltanto l'individuazione di soggetti legittimati ad esprimersi sulla destinazione del valore di una certa massa ma nulla dice sull'ordine di distribuzione, ovvero quali criteri devono essere seguiti per attribuirla ad un soggetto oppure ad un altro. In questo senso, dunque è una regola che muta rispetto al problema distributivo che, invece, a questi criteri fa riferimento.
In collaborazione con l’Istituto per il governo societario