Controlli e liti

Concordato preventivo, ridurre il capitale porta la revoca

di Angelo Busani e Alberto Guiotto

Il concordato preventivo , in passato, era destinato esclusivamente all’imprenditore meritevole, perché “onesto ma sfortunato” e rispettoso delle norme di legge; di converso, condotte illecite del debitore o degli amministratori di società costituivano un motivo ostativo all’accesso all’iter. Da oltre un decennio il requisito della meritevolezza è stato eliminato, nel presupposto che i creditori siano liberi di approvare anche la proposta concordataria di un debitore dai comportamenti non ineccepibili. Tuttavia, occorre che il debitore consenta lealmente ai suoi creditori di formulare un giudizio del tutto informato. Così la domanda di concordato deve contenere tutti gli elementi rilevanti.

L’articolo 173 della legge fallimentare dispone la revoca dell’ammissione al concordato se il commissario giudiziale accerta atti di occultamento o dissimulazione dell’attivo, dolosa omissione di uno o più crediti, esposizione di passività insussistenti o atti di frode da parte del debitore. Egli, quindi, deve offrire piena disclosure della sua condotta: gli atti di frode, infatti, possono inibire l’apertura del concordato o, se scoperti dopo, determinarne la revoca, o il diniego di omologazione, indipendentemente dal voto già espresso dai creditori.

La revoca del concordato presuppone non solo che gli atti di frode siano idonei a ingannare i creditori, ma anche che la condotta del debitore sia dolosa, pure attraverso la consapevolezza di aver taciuto circostanze rilevanti. D’altro canto, non tutte le omissioni comportano automaticamente l’interruzione della procedura, ma solo quelle riguardo a elementi che possano condizionare il soddisfacimento dei creditori e che, se disvelate, avrebbero potuto influenzare il loro voto.

In questo contesto si è recentemente espressa la Cassazione con la sentenza n. 2773 del 2 febbraio 2017 , sulla revoca del concordato in presenza di specifiche carenze informative da parte del debitore. Nel caso esaminato, il commissario aveva rilevato fatti rilevanti accaduti prima del deposito del ricorso di cui all’articolo 161 della legge fallimentare, senza che essi fossero stati preventivamente comunicati dal debitore. Aveva individuato una riduzione volontaria del capitale sociale, intervenuta poche settimane prima del ricorso per l’ammissione al concordato e attuata tramite un rimborso di capitale ai soci, nonché una cessione di un ramo d’azienda a una società interamente posseduta da uno dei soci per un prezzo considerato non congruo.

Entrambe le fattispecie sono state ritenute rilevanti dalla Cassazione per la revoca del concordato. Di particolare interesse sono le considerazioni sulla riduzione del capitale sociale, posto che la difesa del debitore aveva eccepito l’assenza di opposizioni, da parte dei creditori, al relativo atto pubblico. La Corte ha evidenziato la diversa funzione degli strumenti esaminati: a prescindere dalla diversa composizione dei creditori interessati alla delibera di riduzione del capitale sociale rispetto a quella dei creditori concorsuali, nel diritto societario l’impugnazione ha lo scopo di tutelare singoli creditori a fronte di un mutamento della struttura patrimoniale di una società ancora destinata a perseguire l’oggetto sociale. Nell’ambito del concordato preventivo, invece, la rilevazione di atti di frode impone l’interruzione di una soluzione concorsuale che ripartisca le perdite tra tutto il ceto creditorio. Essa presuppone che il patrimonio del debitore non sia stato volontariamente alterato, anche per consentire una consapevole e genuina espressione di voto sulla proposta concordataria.

La Corte aderisce all’orientamento giurisprudenziale prevalente individuando quale presupposto della revoca l’accertamento da parte del commissario giudiziale di atti di frode occultatie idonei a trarre in inganno i creditori e a pregiudicare il loro giudizio sulle reali prospettive di soddisfacimento: rilevano non solo i fatti scoperti dal commissario giudiziale perché del tutto ignoti fino a quel momento, ma anche quelli non adeguatamente illustrati nella proposta di concordato e nei suoi allegati.

Nel caso specifico, la proposta non forniva alcuna spiegazione in merito all’effettiva quantificazione della riduzione patrimoniale, rinviando genericamente alla contabilità quando invece i soci avrebbero dovuto vedersi rimborsata la partecipazione al valore di mercato, presumibilmente ben inferiore agli importi effettivamente ricevuti.

Cassazione I° sezione civile, sentenza 2773 del 2 febbraio 2017

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