Controlli e liti

Conferimento di azienda non è cessione se c’è trasferimento di quote

Contestazione di indebiti vantaggi fiscali possibile solo attraverso la disciplina antiabuso

di Laura Ambrosi

Ai fini dell’imposta di registro, il conferimento di azienda seguito dalla cessione di partecipazioni non può essere riqualificato in cessione di azienda. Ad affermarlo è la Cassazione con l’ordinanza n. 24647 depositata lunedì 13 settembre.

L’agenzia delle Entrate, ai sensi dell’articolo 20 del Dpr 131/86, aveva riqualificato l’atto di costituzione di una società mediante conferimento e la successiva cessione di quote, in cessione di ramo di azienda. Il provvedimento veniva impugnato dinanzi al giudice tributario che per entrambi i gradi di merito confermava la legittimità della pretesa.

La società ricorreva così per la cassazione della decisione di appello lamentando l’errata applicazione della norma. I giudici di legittimità hanno richiamato i principi affermati dalla Consulta (n. 158/2020) secondo cui la nuova formulazione dell’articolo 20 non esprime una regola antielusiva, bensì interpretativa dell’atto portato a registrazione, senza considerare elementi estranei ad esso. La Cassazione ha precisato che sebbene tale norma consenta all’Amministrazione di riqualificare l’atto diversamente dal titolo e dalla forma apparente, tale riqualificazione non può travalicare lo schema negoziale tipico nel quale l’atto risulta inquadrabile.

Si tratterebbe di una artificiosa costruzione di una fattispecie imponibile diversa da quella voluta e comportante differenti effetti giuridici. E infatti, sebbene da un punto di vista economico la situazione di chi cede l’azienda sia la medesima di chi cede l’intera partecipazione, sotto il profilo giuridico sono situazione diverse. Ne consegue così che in presenza di cessione di partecipazioni, l’eventuale riqualificazione ai sensi dell’articolo 20, non richiede l’esistenza di valide ragioni economiche, tanto meno un onere probatorio in capo all’Amministrazione.

Tale norma, infatti, non disciplina l’accertamento del possibile intento elusivo, bensì la verifica di ciò che le parti hanno effettivamente realizzato con il regolamento negoziale. L’articolo 20 è così finalizzato a verificare solo la conformità con l’imposta pagata rispetto agli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione. L’eventuale contestazione di indebiti vantaggi fiscali e la complessiva valutazione di ragioni extra fiscali, invece, è possibile solo seguendo la disciplina antiabuso prevista dall’articolo 10 bis dello Statuto.

La decisione è interessante poiché riguarda una frequente contestazione degli Uffici, i quali sembrano insistere con tali tesi nonostante già da tempo alcune risoluzioni a livello centrale affermino il contrario. È auspicabile quindi che dinanzi ai principi affermati dalla Cassazione, l’Agenzia valuti di abbandonare i contenziosi pendenti ed eviti nuovi accertamenti così motivati.

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