Confisca, la banca perde i finanziamenti erogati all’usuraio
La banca non può “rientrare” delle somme concesse con un mutuo e garantite da immobili sottoposti a confisca di prevenzione per reati di mafia, se non ha tenuto conto che i beni confiscati erano stati acquistati in un periodo in cui il “finanziato” faceva l'usuraio.
La Corte di cassazione, con la sentenza 39258 depositata ieri, accoglie il ricorso dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati alla criminalità organizzata, contro il decreto con il quale il Tribunale ammetteva allo stato passivo una banca per un credito garantito da immobili confiscati.
Credito certo e anteriore
Secondo il Tribunale il credito era certo e anteriore al sequestro di prevenzione. E non c’erano elementi per ritenere che l’istituto di credito, nel finanziare il coniuge dell’uomo inserito in un’associazione mafiosa, fosse consapevole che il mutuo poteva essere strumentale all’attività mafiosa. Per la Cassazione però il legislatore con il codice antimafia (Dlgs 159/2011) chiede qualcosa di più per affermare la buona fede ed escludere rimproveri di tipo “colposo” nei confronti del funzionario della banca. Non basta, infatti, che la banca abbia concesso il finanziamento prima dell’iscrizione ipotecaria, nè l’esistenza del credito o l’assenza di un accordo collusivo con il debitore, ma è necessario dimostrare l’uso di un livello di media diligenza nel concedere il mutuo.
E nel caso specifico, secondo la Cassazione, la banca diligente non lo era stata.
Ai giudici della prima sezione penale non basta che il finanziamento, erogato al coniuge del”proposto”, era stato impiegato per l’acquisizione degli immobili confiscati ma comunque risultati estranei e non strumentali all’attività di stampo mafioso.
Negligenze dell’istituto di credito
Per i giudici la banca, in fase istruttoria, non aveva esaminato, come avrebbe dovuto, le anomalie che erano state poi riscontrate in sede di applicazione della misura di prevenzione reale.
Il primo elemento da considerare era che il marito della “finanziata”, e lei stessa, avevano fatto gli usurai e tutti gli investimenti effettuati erano riconducibili all’epoca in cui era dunque emersa la pericolosità sociale dell’uomo e l’origine illecita anche dell’attività commerciale condotta dalla moglie. La norma - concludono i giudici - non accorda alcuna tutela al terzo creditore che, anche per imprudenza, negligenza o imperizia, rischia di vanificare l’intervento dello Stato nel colpire chi accumula illecitamente una ricchezza che proviene dalla mafia o da reati di particolare gravità.
Corte di Cassazione, sentenza n. 39258/2017