Consulente infedele, basta la denuncia
La causa di non punibilità prevista dall’articolo 6, comma 3, Dlgs 472/1997, consente la disapplicazione delle sanzioni irrogate, previa dimostrazione che il mancato pagamento del tributo è stato causato da un fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi. Non è, invece, necessario che la denuncia abbia portato alla condanna del terzo con sentenza passata in giudicato. Sono i principi affermati dalla Ctr Sicilia, sezione staccata di Catania, con la sentenza 1288/13/2017 del 5 aprile scorso (presidente Arezzo, relatore Failla).
Una società riceve una cartella di pagamento contenente un’iscrizione a ruolo effettuata dall’agenzia delle Entrate di Catania, in seguito a un controllo automatizzato (articolo 36-bis, Dpr 600/1973 e articolo 54-bis, Dpr 633/1972), con il quale viene contestato l’omesso versamento di imposte per l’anno 2006.
La società presenta ricorso al giudice tributario, chiedendo, tra l’altro, l’annullamento delle sanzioni in applicazione dell’esimente prevista dall’articolo 6, comma 3, del Dlgs 472/1997. In particolare, la società lamenta che nell’anno in questione aveva affidato la propria contabilità e i propri adempimenti fiscali a un consulente poi dimostratosi infedele, il quale aveva ritenuto non sussistere alcun debito di imposta in capo alla società contribuente, assumendo che il tributo risultava compensato da crediti fiscali di pari importo. Tali accadimenti erano stati oggetto di denuncia presso la competente Procura della Repubblica, pertanto la società riteneva sussistenti tutti i presupposti per l’applicabilità dell’esimente.
L’agenzia delle Entrate si costituisce in giudizio e ribadisce la correttezza dell’iscrizione a ruolo, anche per quanto riguarda le somme richieste a titolo di sanzioni. In particolare, secondo l’ufficio, l’esimente invocata può trovare applicazione solamente nell’ipotesi in cui la colpevolezza del consulente fiscale risulti acclarata con sentenza di condanna passata in giudicato.
La tesi portata avanti dall’ufficio nelle controversie in esame (che rispecchia la posizione tuttora sostenuta dall’agenzia delle Entrate in molteplici contenziosi pendenti sul tema) viene ritenuta infondata sia in primo grado sia in grado di appello.
La Ctr prende spunto dal tenore letterale della disposizione in commento, secondo cui «il contribuente […] non è punibile quando dimostra che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi». Due sono, quindi, i requisiti cumulativamente previsti dalla legge affinché il giudice, su richiesta di parte, possa dichiarare operante l’esimente in questione:
la convincente dimostrazione della circostanza che il mancato pagamento del tributo sia dipeso da un fatto addebitale esclusivamente a terzi (requisito secondo cui il contribuente diventa immune da censure per culpa in vigilando in ordine all’operato dell’intermediario fiscale);
che sia stata effettuata la denuncia del fatto alla magistratura.
Contrariamente a quanto sostenuto dall’agenzia delle Entrate, la condanna definitiva del consulente infedele non è un requisito previsto dalla legge ai fini della operatività della causa di non punibilità in esame. In questo senso, del resto, si è espressa anche la giurisprudenza di legittimità (Cassazione 23601/2012).