Controlli e liti

Contenzioso, dichiarazioni di terzi anche per il contribuente

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di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Dichiarazioni dei terzi utilizzabili anche a favore del contribuente e non solo pro-fisco. Il divieto di prova testimoniale previsto nel processo tributario, ossia la deposizione di terzi informati sui fatti, deve essere circoscritto all’udienza e non anche alle fasi precedenti. Si tratta di una limitazione giustificata dalla natura scritta e non orale del rito tributario, sebbene sia innegabile che, in termini concreti, potrebbe privare il contribuente di importanti spunti difensivi.

La prassi operativa

Da anni l’amministrazione finanziaria nel corso di controlli richiede informazioni e riscontri a soggetti che hanno avuto rapporti con il contribuente sottoposto a verifica. Tali dichiarazioni vengono così utilizzate al fine di meglio supportare le contestazioni nei suoi confronti. Si tratta di un’attività pienamente legittima perché concerne informazioni reperite prima del processo e non testimonianze rese in udienza (vietate dalla norma).

I casi più frequenti si riscontrano nelle richieste rivolte ai clienti di imprese immobiliari che hanno acquistato immobili per avere conferma della somma corrisposta per l’acquisto, alle banche per reperire documenti a sostegno del valore degli immobili, agli acquirenti o venditori di beni i quali riferiscono di non conoscere la controparte ai fini della veridicità dell’operazione e quindi della falsità della fattura, ai dipendenti dell’azienda per riscontrare la regolarità della propria assunzione e la retribuzione effettivamente corrisposta, alle informazioni reperite dai clienti di alberghi, ristoranti ecc. Queste acquisizioni sono svolte in autonomia dai verificatori dell’agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza senza la presenza del soggetto controllato il quale ne viene in genere a conoscenza in occasione della redazione del Pvc finale quando ormai la contestazione è già formulata. In tale contesto i verificatori talvolta, per dimostrare la fondatezza del rilievo, attribuiscono rilevanza anche a dichiarazioni dalle quali emergono episodi sporadici ed occasionali.

Si pensi al caso in cui solo alcuni dei numerosi clienti di un’impresa immobiliare dichiarino di aver corrisposto un corrispettivo superiore rispetto al valore indicato in atti mentre tutti gli altri acquirenti confermino il prezzo riportato in fattura. In presenza di questa situazione i “controllori” non di rado considerano veritiera solo la notizia sfavorevole e su tale valore ricostruiscono induttivamente tutti i ricavi dell’impresa non limitandosi a rettificare soltanto il maggior valore dichiarato dall’acquirente l ricavo asseritamente non dichiarato.

La giurisprudenza

Secondo la Cassazione le dichiarazioni di terzi rilasciate prima del processo tributario possono essere legittimamente utilizzate seppur con alcuni distinguo in base alla natura confessoria o meno della dichiarazione.

In base all’articolo 2730 del Codice civile la confessione è la dichiarazione che una parte fa della verità di fatti ad essa sfavorevoli e favorevoli all’altra parte. Una dichiarazione, perché abbia natura confessoria, quindi, deve far emergere una diretta responsabilità del dichiarante stesso, tale da condurre a conseguenze negative a sé sfavorevoli.

Secondo la giurisprudenza di legittimità la «confessione» se ritenuta attendibile può essere idonea da sola a motivare l’avviso di accertamento, perché dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. Una dichiarazione semplice invece, priva cioè di natura confessoria, può costituire solo un mero elemento indiziario, che deve sempre e comunque essere sostenuto da ulteriori elementi per fondare l’accertamento o il convincimento del giudice.

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