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Contratto finito per morosità: la risoluzione va sempre registrata (e versata)

La Ctr Lazio ricorda che si può smettere di pagare le imposte dalla fine del contratto, ma <descrizione>versando </descrizione>67 euro

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di Silvio Rivetti

Quando il contratto di locazione viene risolto per la morosità del conduttore, bisogna sempre ricordarsi di comunicare tempestivamente la risoluzione alle Entrate, pagando l’imposta di registro di 67 euro. È la conclusione che si può ricavare dalla Ctr Lazio, sentenza 1889/7/2021, depositata il 13 aprile 2021 (presidente e relatore Maiello), a proposito di una questione certamente comune, diventata ancora più frequente con l’aggravarsi della crisi economica da pandemia.

Il contratto risolto dal Tribunale
La vicenda riguarda l’impugnazione, da parte della contribuente, dell’avviso di liquidazione dell’imposta di registro proporzionale del 2% per l’anno 2013 - relativa a un contratto di locazione di capannoni industriali - stipulato all’inizio del 2010 dalla stessa contribuente (in veste di locatore) e da una società commerciale (in veste di conduttrice degli immobili).

Per la ricorrente, l’imposta di registro richiesta per le annualità di locazione successive alle prima non era dovuta, perché il contratto di locazione sottostante figurava risolto dal Tribunale di Tivoli con sentenza depositata nel 2014, a seguito dell’esito positivo del procedimento per convalida di sfratto intentato nel 2011 contro la società conduttrice.

Ad avviso della contribuente, il giudice civile aveva statuito la risoluzione del contratto di locazione con effetto retroattivo, a far data dal momento in cui si era venuto a configurare il grave inadempimento della controparte circa il pagamento dei canoni (che non erano più stati versati a partire dalla fine del 2010); o comunque dal momento dell’intimazione di sfratto per morosità. Pertanto, non potendosi più figurare il contratto di locazione «in essere» nel 2013, non poteva dirsi legittima alcuna tassazione per tale annualità, in tema di imposta di registro.

La mancata allegazione della sentenza
In primo grado, la Ctp di Roma respingeva il ricorso della contribuente, perché quest’ultima non aveva allegato al suo ricorso la sentenza del giudice civile, su cui fondava le sue tesi.

La ricorrente riproponeva quindi in appello le sue doglianze, depositando questa volta nel giudizio tributario la pronuncia del Tribunale (in applicazione dell’articolo 58 Dlgs. 546/1992, che concede di depositare nuovi documenti in secondo grado).

In questa sede, il giudice accoglie nella sostanza l’impugnativa della contribuente rilevando però come una (piccola) parte dell’imposta dovesse considerarsi dovuta, per effetto delle specifiche norme tributarie applicabili al caso. E infatti il giudice di secondo grado, pur rilevando che, per costante giurisprudenza civile, il contratto di locazione inadempiuto da parte del conduttore si ha per risolto a far data dalla proposizione dell’azione legale di convalida di sfratto, per altro verso sottolinea che l’articolo 17 del Dpr 131/1986 impone al contribuente di comunicare alle Entrate l’intervenuta risoluzione del contratto di locazione, entro 30 giorni dalla stessa, versando l’imposta di 67 euro.

Al riguardo, il giudice regionale rimarca come tale obbligo di comunicazione, gravante sul contribuente, sia funzionale all’aggiornamento dell’Anagrafe tributaria degli atti registrati e ad evitare proprio i recuperi d’imposta su annualità successive a quella del venir meno dei rapporti, le cui vicende non siano state rese note al Fisco. In assenza della prova tanto della comunicazione della risoluzione, quanto del pagamento dell’imposta dovuta sulla stessa, il giudice non ha potuto così che sancire l’illegittimità delle maggiori pretese e delle sanzioni, con l’eccezione dell’importo dovuto per legge.