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Contro le discriminazioni a rovescio le tutele della giustizia comunitaria

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di Enrico Traversa

La sentenza della Corte di giustizia C-565/18 Société générale avente a oggetto l’imposta sui derivati basati su azioni di società italiane (si veda il Sole 24 Ore del 1° maggio) ha riacceso i riflettori sul problema delle discriminazioni a rovescio, vale a dire di quelle situazioni giuridiche nelle quali un trattamento meno favorevole è riservato, a parità di condizioni, a cittadini o operatori economici nazionali rispetto a cittadini o imprese di altri Stati membri dell’Ue.

Le discriminazioni a rovescio

Negli ultimi dieci anni di giurisprudenza Ue si è infatti assistito all’apparire di una nuova e ben più rilevante forma di disparità di trattamento fra contribuenti riconducibile alla figura delle discriminazioni a rovescio. Si allude alle più di cento sentenze emanate dalla Corte di giustizia in materia di sanzioni tributarie e più in generale di diritti del contribuente. Si tratta di un formidabile arsenale di strumenti giuridici che il contribuente può invocare a propria difesa basandosi per l’appunto sulle pronunce della Corte stessa. Ma di quale contribuente si tratta? Si tratta unicamente dell’operatore assoggettato a imposte armonizzate dal legislatore europeo, in primo luogo l’Iva (direttiva 2006/112), in secondo luogo le accise armonizzate (direttiva 2008/118 sul regime generale, sentenza C-81/15 Karelia, direttiva 2003/96 sulla tassazione dei carburanti, sentenza C-68/18 Petrotel) e in terzo luogo le tasse sui veicoli pesanti (direttiva 1999/62, sentenza C-497/15 Euro-Team). A questi si sono aggiunti di recente i contribuenti ai quali si applicano la direttiva 2010/24 sull’assistenza in materia di recupero di crediti tributari (sentenza C-34/14 Donnellan) e la direttiva 2011/16 sullo scambio di informazioni (sentenza C-685/15, Berlioz).

La Carta dei diritti fondamentali

I contribuenti di imposte armonizzate a livello Ue possono contare sull’applicazione nei loro confronti della Carta dei diritti fondamentali dell’Ue (Cdf), dato che tutte le leggi nazionali che recepiscono le direttive di armonizzazione fiscale e le completano con la previsione di sanzioni costituiscono «norme di attuazione del diritto dell’Unione» ai sensi dell’articolo 51 della Carta stessa (sentenza C-682/15 Berlioz).

Da questo consegue che le sanzioni tributarie devono riflettere sempre la gravità dell’infrazione (articolo 49.3 Cdf, sentenza C-384/17, Link Logistik), che il contribuente “europeo” ha diritto a un equo processo (articolo 47 Cdf, sentenza C-189/18, Glencore) e che in ogni fase del procedimento sanzionatorio al contribuente deve essere assicurato il diritto di difesa (articolo 48 Cdf, sentenza Webmind C-419/14). La Corte di giustizia ha poi in concreto dichiarato illegittima l’irrogazione, al contribuente di imposte armonizzate, di sanzioni discriminatorie (sentenza C-482/16 Google Ireland), di sanzioni eccessive (sentenza C-259/12 Rodopi) e di sanzioni forfettarie (sentenza C-564/15, Farkas).

L’Iva

Nell’ambito Iva le sentenze della Corte Ue hanno limitato ancora più sensibilmente il margine di manovra delle amministrazioni fiscali degli Stati membri ingiungendo ai giudici tributari di disapplicare le norme di legge che prevedono sanzioni prive di nesso logico con le infrazioni contestate (sanzioni improprie) e precisamente: a) il diniego di un’esenzione Iva per sanzionare infrazioni non tributarie (ordinanza C-381/09, Curia) o per violazione di requisiti unicamente formali (sentenza C-24/15 Plöckl); b) il diniego del diritto a detrazione dell’Iva pagata “a monte” per inosservanza di un obbligo formale come un’erronea iscrizione di un’operazione imponibile (sentenza C-95/07 Ecotrade) o per una partecipazione non provata dall’amministrazione a una catena di operazioni fraudolente (sentenza C-285/11, Bonik); c) il divieto di cumulo di sanzioni Iva amministrative e penali in assenza di un coordinamento fra le medesime (sentenza C- 524/15, Menci). Tutti questi efficacissimi argomenti a difesa non possono essere invocati dal contribuente italiano al quale l’amministrazione ha irrogato una sanzione per violazione di norme di legge in materia di imposte non armonizzate sui redditi, in quanto tali situazioni non rientrano nell’ambito del diritto Ue (sentenza C-469/18, IN-JM).

Il rimedio della Consulta

Esiste tuttavia un rimedio a questa obiettiva ingiustizia ed è il ricorso alla Corte costituzionale per violazione del principio di uguaglianza ex articolo 3 della Costituzione. La Corte costituzionale si è infatti già pronunciata contro discriminazioni “a rovescio” a danno di soggetti italiani nei confronti di soggetti di altri Stati membri Ue nelle due sentenze 249/1995 e 443/1997, riguardanti rispettivamente i lettori italiani di lingua straniera e i produttori italiani di pasta. È nella seconda di tali sentenze che la Corte costituzionale, sulla base di una motivazione assai dettagliata, è pervenuta alla conclusione che «il principio di non discriminazione tra imprese che agiscono sullo stesso mercato (italiano) in rapporto di concorrenza opera come istanza di adeguamento del diritto interno ai principi stabiliti dal Trattato UE».

La stessa Corte ha esteso di conseguenza alle imprese italiane gli effetti della sentenza C-407/85 Drei Glocken della Corte di giustizia Ue sulla liceità delle importazioni di pasta di grano tenero, mediante la dichiarazione di illegittimità costituzionale ex articolo 3 della Costituzione della norma di legge italiana che discriminava “a rovescio” i produttori italiani di pasta di grano duro. Sulla base di questo stesso ragionamento un giudice tributario italiano potrebbe ben chiedere alla Corte costituzionale di procedere a un’analoga applicazione del principio di uguaglianza anche alle situazioni di disparità di trattamento sotto il profilo sanzionatorio a danno dei debitori di imposte non armonizzate quali le imposte sui redditi, rispetto ai soggetti passivi di imposte armonizzate “in primis” l’Iva.

L’effetto rivoluzionario di una tale pronuncia della Corte costituzionale sarebbe quello di estendere automaticamente ai contribuenti italiani destinatari di sanzioni amministrative relative alle imposte sui redditi, le medesime e sostanziali tutele derivanti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia per i soggetti passivi Iva responsabili di infrazioni comparabili, eliminando in tal modo alla radice una discriminazione a rovescio profondamente ingiusta.