Controlli e liti

Controlli preventivi su operatori e imprese

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

La maggior parte delle contestazioni di assenza di buona fede e conseguentemente di richiesta dell’Iva non versata dal fornitore/cliente presenta una situazione alquanto singolare. Dalla lettura degli atti infatti emerge, in genere, che per l’individuazione degli illeciti sono state svolte lunghe indagini (spesso di polizia giudiziaria che comportano come evidenziato dalla Guardia di finanza nel corso di Telefisco 2018, ad esempio le intercettazioni telefoniche o ambientali), utilizzate le più sofisticate banche dati in dotazione all’amministrazione finanziaria e richiesti controlli fiscali in altri paesi.

È singolare così che si contesti al contribuente l’assenza di buona fede in quanto avrebbe dovuto agevolmente comprendere di essere parte di una frode commessa da altri, quando la stessa amministrazione per scoprire la stessa frode ha dovuto svolgere così delicate e lunghe indagini.

In tale contesto va segnalato che secondo le Sezioni unite della Cassazione (sentenza 21105/2017 relativa a una contestazione Iva per l’utilizzo illegittimo del regime del margine) il diritto alla detrazione non può essere negato ove emerga, grazie ai poteri ispettivi dell’amministrazione finanziaria, l’assenza dei presupposti in capo al cedente.

In ogni caso è quanto mai opportuno che il contribuente adotti delle misure preventive per verificare - per quanto consentito - la “regolarità” dell’operatore con cui intrattiene rapporti commerciali e dimostrare la buona fede in caso di controllo. Così, traendo spunto dalle più frequenti contestazioni, potrebbero essere utili (si veda anche Il Sole 24 Ore del 2 ottobre 2017):

un accertamento sull’esistenza del fornitore/cliente (visure camerali, sito internet);

un riscontro sui locali adibiti all’impresa (esistenza di una sede compatibile con l’attività svolta);

la verifica della presenza di lavoratori, dipendenti, addetti amministrativi;

l’individuazione della qualifica del soggetto con cui si intrattengono i rapporti,se riconducibile all’impresa indicata in fattura;

la conservazione della corrispondenza commerciale (contratti, mail, fax);

per le dichiarazioni di intento, accertamento dell’invio telematico della dichiarazione all’agenzia delle Entrate da parte del proprio cliente;

la verifica sul prezzo praticato, se troppo basso rispetto alla media del mercato, vanno approfondite le ragioni.

Da segnalare tuttavia che talvolta anche quando il contribuente ha adottato molti di questi accorgimenti, l’agenzia delle Entrate anziché riconoscere la buona fede e la diligenza, li ha ritenuti indizi per sospettare della consapevolezza della frode.

Sarebbe allora opportuno, anche in virtù del decantato nuovo rapporto collaborativo fisco/contribuente, che siano fornite dalla stessa Agenzia delle linee guida in merito alle informazioni e documenti che il contribuente deve prudenzialmente acquisire affinchè possa provare la propria buona fede, onde evitare, che ogni accorgimento venga ritenuto fondamentale se omesso, e irrilevante se effettuato

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