Diritto

Corte di giustizia Ue: la detrazione Iva non può essere negata con la sospetta frode

Il diritto a detrarre l’imposta scatta in presenza della fattura

I “semplici sospetti” dell’amministrazione tributaria in ordine all'inesistenza di una determinata operazione non possono negare il diritto alla detrazione dell’Iva al cessionario/committente anche se quest’ultimo non è in grado di fornire, oltre alla fattura, ulteriori documenti a supporto dell’operazione stessa. È uno dei principi sanciti dalla Corte di giustizia europea nella causa C-430/2019 depositata giovedì 4 giugno.

La Corte di giustizia, con la sentenza in esame, ritorna sulla distribuzione dell’onere della prova in capo all’Amministrazione finanziaria e al contribuente in merito alla detrazione dell’Iva in presenza di possibili frodi ribadendo, da una parte, che è sufficiente la fattura per il diritto alla detrazione e dall’altra che è onere dell’Amministrazione finanziaria provare che il soggetto passivo ha esercitato il proprio diritto a detrazione all’interno di operazioni fraudolente.

I fatti di causa riguardavano una società rumena a cui l’Amministrazione tributaria nazionale contestava la fittizietà di alcune operazioni realizzate nei suoi confronti da alcuni fornitori, dal momento che questi, in quanto “microimprese”, non sarebbero stati in grado di disporre delle necessarie capacità tecniche e logistiche per fornire i servizi oggetto di fatturazione.

Con la domanda pregiudiziale di rinvio alla Corte il giudice sottolinea che, nel caso di specie, il solo fatto che le società fornitrici beneficino di un regime fiscale più vantaggioso di quello in cui opera la convenuta, ha portato l’Amministrazione tributaria a considerare esistente una frode fiscale richiedendo, pertanto, alla società, oltre alle fatture, anche altri documenti che provassero l’esistenza di dette operazioni.

La Corte, nella pronuncia in commento, afferma che il diritto unionale non prevede norme relative alle modalità dell’assunzione delle prove in materia di frode Iva e che tali elementi oggettivi devono essere definiti dall’ordinamento nazionale avendo sempre riguardo a quelle che sono le singole circostanze che risultano dal caso specifico.

Sempre la Corte però sottolinea che, se è vero che un soggetto passivo è tenuto, in presenza di indizi e sospetti che consentano di ipotizzare l’esistenza di irregolarità, ad assumere informazioni sull’affidabilità dell’operatore presso il quale intende acquistare beni o servizi, tuttavia l’Amministrazione tributaria nazionale non può chiedere al contribuente di verificare se, da un lato, l’emittente della fattura dispone dei beni di cui si tratta, se è in grado di fornirli e se è in regola con gli obblighi dichiarativi e di versamento dell’Iva e, dall’altro, di disporre di documenti a tal riguardo (causa C-430/19, punto 47 e C-277/14, punto 52).
I Giudici comunitari affermano infine che la produzione di questi documenti supplementari non è necessaria ai fini della detrazione (non essendo prevista dall’articolo 178, lettera a), della direttiva Iva) e che tale richiesta potrebbe incidere, in modo sproporzionato, sull’esercizio del diritto a detrazione e sul principio di neutralità. A seguito di questa ricostruzione concludono che quando l’Amministrazione tributaria nutre solo sospetti sull’effettiva realizzazione di operazioni economiche, non avvalorati da oggettivi elementi di prova, non può negare, chiedendo ulteriori documenti a supporto delle operazioni, il diritto alla detrazione ad un soggetto passivo che dispone esclusivamente delle fatture.


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