Costi da reato, limiti alla tassabilità dei ricavi da operazioni inesistenti
Nel caso di soggetti che partecipano alla frode in posizione intermedia i ricavi non saranno tassabili fino a concorrenza dei costi che sono inesistenti e, in quanto tali, indeducibili
La modifica legislativa che ha interessato la disciplina dei costi da reato rende sempre attuale le riflessioni che vengono svolte con riferimento al rapporto tra la predetta e le operazioni inesistenti. Ripercorriamo le linee essenziali della normativa per poi focalizzare la tematica in esame.
Il quadro prima della modifica legislativa
La previgente formulazione dell’articolo 14, comma 4- bis, della legge 537/1993 presentava un impianto alquanto rigido, in quanto disponeva che nella determinazione dei redditi imponibili non fossero ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato.
La volontà legislativa era alquanto chiara e si traduceva in un’innegabile asimmetria tra la generale imponibilità dei proventi derivanti da attività penalmente illecite (sia colpose, sia dolose) e l’indeducibilità dei relativi costi, con il rischio di allargare oltremodo le maglie della norma in sede interpretativa ed applicativa facendo leva sulla locuzione “riconducibili” contenuta nella disposizione stessa.
In pratica, la predetta locuzione si prestava ad essere declinata rendendo indeducibili anche costi riferiti a beni o servizi impiegati solo in via mediata per la commissione del reato.
Indeducibilità circoscritta
Il Dl 16/2012 ha riformulato la disciplina della deducibilità dei costi da reato, rimaneggiando l’articolo 14, comma 4-bis, della legge 537/1993, con elisione di ogni dubbio al riguardo. In particolare, le ipotesi di indeducibilità sono state circoscritte, ai fini delle imposte sui redditi, ai soli costi e spese relativi a beni o prestazioni di servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo (escludendo, quindi, i costi e le spese direttamente utilizzati per la commissione di reati contravvenzionali) per i quali il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale, ovvero il giudice dell’udienza preliminare abbia emesso il decreto che dispone il giudizio o, ancora, sentenza di non luogo a procedere per intervenuta prescrizione del reato.
L’indeducibilità va in tal modo riferita ai costi di tutti i fattori produttivi che si pongano in un rapporto strumentale con l’attività criminosa; all’infuori di tale fattispecie, non si può assolutamente invocare la norma dei costi da reato.
Al riguardo rileva l’esempio reso dall’agenzia delle Entrate con circolare 32/E/2012. Si pensi al caso di una società autorizzata all’attività di smaltimento di rifiuti che abbia, tuttavia, smaltito anche rifiuti rientranti in categorie non autorizzate e, per questo, abbia sostenuto costi diretti alla commissione del relativo delitto ambientale. In tale ipotesi l’Amministrazione finanziaria potrà procedere al recupero dei soli costi correlati al delitto ambientale; saranno, invece deducibili, secondo le regole generali, i componenti negativi sostenuti per lo smaltimento dei rifiuti autorizzati.
Le fatture soggettivamente inesistenti
La nuova formulazione della norma reca con sé un’altra conseguenza di non trascurabile importanza. Avuta considerazione del fatto che l’indeducibilità del costo opera ove vi sia stato un diretto utilizzo dei beni o servizi per il compimento dell’attività delittuosa, ne consegue che la stessa non trovi tendenzialmente applicazione per i costi e le spese esposti in fattura o altri documenti (aventi analogo rilievo probatorio) i quali riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi (articolo 8, comma 1, Dl 16/2012).
Si pensi all’utilizzo di fattura «soggettivamente inesistente» per l’acquisto di merce, finalizzato al compimento di una frode in ambito Iva. In tale ipotesi, il costo esposto in fattura, effettivamente relativo all’acquisto della merce, non rappresenta l’onere sostenuto per porre in essere tale frode, sicché il difetto di deducibilità, appurato che non possa essere vagliato alla luce dell’articolo 14, comma 4-bis, della legge 537/1993, potrà essere predicato solo in mancanza dei requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità previsti Tuir, come riconosciuto dalla giurisprudenza con orientamento costante (tra tutte, Cassazione, ordinanza 19169/2021; ordinanza 15860/2021).
Pertanto, andrà condotta un’attenta indagine in relazione a ogni singola fattispecie, al fine di non incorrere in semplicistiche generalizzazioni, poiché solo se i costi rappresentati in fatture soggettivamente inesistenti non risultino correlati alla commissione della specifica attività criminosa gli stessi potranno essere ripresi a tassazione secondo le regole ordinarie, vale a dire solo ove si riscontri il difetto di inerenza, certezza e determinabilità (sul punto, Cassazione penale, sentenza 53637/2018; sentenza 42994/2015).
Ma cosa accade nel caso, differente da quello appena visto, di soggetti che partecipano alla frode in posizione intermedia («cartiere»), vale a dire non realizzando alcuno scambio di merce, pur in presenza di emissione di fatture (oggettivamente e soggettivamente inesistenti)? Si ritiene che possa trovare applicazione quanto previsto dall’articolo 8, comma 2, del Dl 16/2012, secondo cui ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi.
Pertanto, i ricavi non saranno tassabili fino a concorrenza dei costi che sono inesistenti e, in quanto tali, indeducibili. La tassazione si avrà sul mark up qualora conseguito.
Questo articolo fa parte del nuovo Modulo24 Accertamento e riscossione del Gruppo 24 Ore
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