Costo ammortizzato, interessi attivi contabilizzati senza rilevanza fiscale
La contabilizzazione di un ammontare di interessi attivi inferiore rispetto a quelli contrattualmente spettanti per effetto di una svalutazione del credito rappresentato in bilancio in base al criterio del costo ammortizzato non può essere recepita ai fini fiscali. Di conseguenza gli interessi fiscalmente rilevanti dovrebbero comunque continuare ad essere calcolati applicando il tasso di interesse effettivo al valore del credito al lordo della svalutazione. Così si è espressa Assonime nella circolare 14 del 21 giugno scorso dedicata alle molteplici novità fiscali resesi necessarie a seguito dell’entrata in vigore della riforma del bilancio di esercizio delle società che adottano i principi contabili nazionali.
Nello specifico, in caso di svalutazione di un credito valutato al costo ammortizzato il valore contabile sul quale viene applicato il tasso di interesse effettivo si riduce immediatamente, con l’effetto di ridurre in misura corrispondente anche gli interessi attivi rilevati in bilancio.
Ad esempio, se un credito con valore contabile di 1.000 e con interessi posticipati di 50 viene svalutato del 50% perché si ipotizza di incassare a termine solo un importo pari a 525 (50% di 1.050), la svalutazione imputata in bilancio sarà pari a 500. Conseguentemente, gli interessi attivi saranno commisurati solo al valore contabile residuo del credito al netto della svalutazione (ossia a 500), e, pertanto, saranno rilevati in bilancio per 25 e non per 50.
In un’ipotesi del genere, secondo Assonime, sembra logico ritenere che se la svalutazione contabile del credito non risulti fiscalmente rilevante in base alle regole del tuir, l’impostazione contabile che riduce il flusso di interessi attivi per effetto di questa svalutazione non può essere recepita ai fini fiscali, con la conseguenza che gli interessi fiscalmente rilevanti dovrebbero comunque continuare ad essere calcolati applicando il tasso di interesse effettivo al valore del credito al lordo della svalutazione indeducibile (nell’esempio 50).
Il principio di derivazione rafforzata risulta, infatti, subordinato rispetto alle regole fiscali che delimitano la rilevanza delle componenti valutative ovvero, nel caso di specie, alle disposizioni che limitano la deducibilità delle svalutazioni su crediti.
A differenza di quanto avveniva quando il credito era rappresentato con i criteri giuridico formali, le imprese Ita Gaap (ed anche quelle Ias adopter) dovrebbero quindi gestire un complesso doppio binario civilistico e fiscale nelle ipotesi in cui abbiano proceduto a svalutare crediti rappresentati in bilancio con il metodo del costo ammortizzato.
Secondo una diversa tesi seguita fino ad oggi da molte imprese Ias che da anni adottano il menzionato criterio contabile, nel calcolo del plafond di deducibilità delle svalutazioni dei crediti la commisurazione degli interessi attivi sull’importo del credito ridotto per effetto di una svalutazione è una mera conseguenza dell’applicazione del criterio del costo ammortizzato da assumere ai fini fiscali per derivazione; in altre parole, i minori interessi attivi esposti in bilancio per effetto di una svalutazione fiscalmente indeducibile costituirebbero espressione di un aspetto qualificatorio - come tale rilevante ai sensi del novellato articolo 83 del Tuir - e non meramente valutativo.
In applicazione dello stesso principio di derivazione, le banche considerano corretto tassare, anche ai fini Irap, gli interessi di mora relativi a crediti svalutati nell’esercizio di rilevazione in bilancio coincidente generalmente con l’esercizio di incasso: anche tale ultima impostazione potrebbe essere messa in discussione alla luce della predetta interpretazione targata Assonime.
Stante, quindi, l’importanza della materia in discussione sia per le società Ias che Ita Gaap, è auspicabile un prossimo intervento chiarificatore dell’agenzia delle Entrate.