Controlli e liti

Crediti da dichiarazione omessa, spazio alla prova del contribuente sull’esistenza

L’ordinanza 2191/2021 della Cassazione: parità difensiva con i rilievi nel caso in cui il modello sia stato presentato

di Roberto Bianchi

Il contribuente ha la possibilità di dimostrare, producendo adeguata documentazione, l’effettiva esistenza del credito non dichiarato qualora l’amministrazione finanziaria recuperi, in base all’articolo 36-bis del Dpr 600/1973 e all’articolo 54-bis del Dpr 633/1972, un credito evidenziato nella dichiarazione oggetto di liquidazione e maturato in un’annualità per la quale la dichiarazione risulti omessa. Di fatto il contribuente si viene a trovare in una condizione analoga a quella nella quale si sarebbe trovato (salvo sanzioni e interessi) qualora avesse presentato correttamente la dichiarazione. Il diritto del contribuente, infatti, nasce dalla norma tributaria e non dalla dichiarazione e, inoltre, nella fase contenziosa, è sempre possibile opporsi alla maggior pretesa dell’ufficio, allegando la documentazione che comprovi la sussistenza di errori commessi nella stesura della dichiarazione che risultino rilevanti ai fini della quantificazione dell’obbligazione tributaria. A tale conclusione è giunta la Cassazione attraverso l’ordinanza 2191/2021.

La Suprema corte, in passato, si è espressa in maniera non univoca relativamente alla possibilità di compensare il credito spettante nel caso in cui, per il correlato periodo d’imposta, risultasse omessa la presentazione della dichiarazione. Tuttavia, le decisioni della giurisprudenza di legittimità che hanno negato tale possibilità, risultano in contrasto con quanto affermato, a tale riguardo, dalla stessa Amministrazione finanziaria.

La circolare 21/E/2013 ha sostenuto che, in tale contesto, la dimostrazione dell’esistenza contabile del credito pone il contribuente, sebbene tardivamente, nella medesima condizione in cui si sarebbe trovato qualora avesse correttamente presentato la dichiarazione. Pertanto, l’Ufficio, qualora riscontri l’esistenza contabile del credito, anziché richiedere l’effettuazione del pagamento accompagnata dall’inoltro di un’istanza di rimborso, potrà scomputare direttamente l’importo del credito dalle somme complessivamente dovute in base alla originaria comunicazione di irregolarità e, la sanzione, risulterà applicabile esclusivamente sulla parte di credito effettivamente utilizzata alla data di presentazione dell’istanza di riconoscimento del credito medesimo.

I giudici di legittimità, in determinate pronunce, hanno adottato un’interpretazione analoga, statuendo che, qualora l’Ufficio recuperi il credito maturato in un periodo d’imposta per il quale la presentazione della dichiarazione è risultata omessa, il contribuente ha la possibilità di dimostrare, attraverso l’allegazione di documentazione idonea, l’effettiva sussistenza del credito menzionato (ordinanza 25288/2019).

In altre pronunce la Suprema corte si è, invece, espressa in modo difforme, sancendo che, ai fini delle imposte sui redditi, non sussiste l’esigenza di assicurare la neutralità dell’Iva affermata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea e, pertanto, non risulterebbero agevolmente dimostrabili l’esistenza contabile e l’effettività sostanziale del credito per eccedenza di Ires o di Irpef concretamente maturato nel periodo d’imposta, in quanto si renderebbe necessaria «un’indagine estesa a tutta la pluralità di elementi eterogenei che, fondendosi tra loro, possono (o no) causare una tale eccedenza» (ordinanza 18393/2020).

Tuttavia, gli elementi dai quali è possibile generare eccedenze nell’ambito delle imposte dirette risultano essere, prevalentemente, i crediti d’imposta, le ritenute e i versamenti in acconto (come ricordato anche dall’ordinanza 18393/2020), i quali rappresentano elementi agevolmente riscontrabili, come si verifica abitualmente nel contesto del procedimento eseguito ai sensi dell’articolo 36-ter del Dpr 600/1973, che non si differenzia, sostanzialmente, da quello afferente all’eccedenza Iva. Anche i giudici di legittimità, infatti, hanno avuto modo di precisare, nell’ordinanza 17043/2020 che, relativamente al tributo armonizzato, «occorre anche l’esibizione dei registri Iva e delle relative liquidazioni, delle fatture e di ogni altra documentazione utile».

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