Controlli e liti

Crediti inesistenti, mini-sanzioni se l’utilizzo è stato «colposo»

di Rosanna Acierno

In caso di compensazione di crediti, la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante la liquidazione automatica della dichiarazione, è legittima l’applicazione della sanzione minima del 100% anziché nella misura massima del 200%, qualora l’ufficio abbia provato la condotta colposa del contribuente che li ha utilizzati, ma non anche quella dolosa. Sono queste le principali conclusioni cui è giunta la Ctp di Bergamo con la sentenza 287/1/2017 (presidente Oldi, relatore Saia).

La pronuncia trae origine dalla emissione di due atti di recupero crediti con cui l’ufficio delle Entrate, qualificando come inesistenti alcuni crediti di imposta di terzi acquistati da una società, richiedeva le imposte indebitamente compensate negli anni 2014 e 2015 e comminava sanzioni nella misura massima prevista pari al 200% degli stessi crediti.

Impugnati gli atti, in sede di ricorso introduttivo, la società ricorrente eccepiva, peraltro, in via principale il difetto di motivazione e di prova per mancata allegazione del materiale istruttorio e l’illegittimità delle sanzioni applicate per assenza di colpa e dolo. In subordine, la stessa ricorrente invocava, sempre per assenza di condotta fraudolenta, l’applicazione della sanzione del 30% o, in alternativa, l’irrogazione di sanzioni nella misura del 100 per cento.

Costituitosi in giudizio, l’ufficio precisava che si trattava di crediti inesistenti esposti, peraltro, da altre società per presunti incrementi occupazionali mai realizzati e poi ceduti a titolo oneroso alla società ricorrente.

Esaminati gli atti in causa, la Ctp di Bergamo dichiarava innanzitutto la legittimità della pretesa erariale, ritenendo che la società ricorrente non avesse fornito prove idonee a dimostrare l’esistenza del credito di imposta acquisito da terzi. A fronte, infatti, dei rilievi esposti negli atti impositivi impugnati, la società ricorrente non avrebbe offerto alcun elemento volto a dimostrare l’effettiva e concreta sussistenza dei crediti di imposta acquisiti da terzi.

Tuttavia, in merito alle sanzioni applicabili il collegio bergamasco accoglieva parzialmente il ricorso.

Innanzitutto la commissione precisava che, in caso di utilizzo di credito di imposta la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante la liquidazione automatica della dichiarazione, in virtù del principio del favor rei, occorre riferirsi alle disposizioni più favorevoli al contribuente, contenute nell’articolo 13 del Dlgs 471/97 (come modificato ad opera del Dlgs 158/2015) che prevede una sanzione dal 100% al 200% del credito indebitamente compensato, senza possibilità di definizione agevolata.

In sintesi, secondo la Ctp di Bergamo, nel caso di specie non si sarebbe ravvisato alcun dolo da parte della società ricorrente, ma soltanto una sua manifestazione di colpa per inosservanza delle normali regole di attenzione e prudenza, non essendo credibile la circostanza che un’impresa acquisti ingenti crediti di imposta senza operare un preventivo e attento controllo, limitandosi soltanto alla acquisizione di documenti predisposti dai cedenti.

Pertanto, dovendosi riconoscere la sola colpa, ma non anche il dolo, secondo i giudici bergamaschi appare legittima l’applicazione della sanzione nella misura minima prevista dall’articolo 13, comma 5 del Dlgs 471/97 pari al 100% dei crediti inesistenti.

Ctp di Bergamo, sentenza 287/1/2017

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