Dopo anni di accertamenti, incertezza interpretativa e contenziosi sempre più estesi, il credito d’imposta per Ricerca e Sviluppo – soprattutto per le annualità 2015 - 2019 – sembra avviarsi verso una fase di stabilizzazione. Due recenti e rilevanti pronunce della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia (nn. 883/2025 e 1482/2025), in attesa di una pronuncia della Cassazione, danno un’indicazione: l’innovazione ammessa al beneficio non deve essere “assoluta”, ma sufficiente a rappresentare uno sforzo verso il superamento di ostacoli scientifici o tecnici rilevanti in relazione allo stato delle conoscenze a cui l’impresa può avere accesso. Il principio di “novità relativa” viene così riportato al centro della scena. Una lettura che allinea l’impostazione italiana con quella più consolidata a livello comunitario e rilancia il ruolo della certificazione tecnica come presidio probatorio avanzato. Ma soprattutto ridisegna, con implicazioni concrete, la linea di confine tra crediti “inesistenti” e crediti “non spettanti”, con effetti importanti su termini, sanzioni e responsabilità.
Il caso: quando l’innovazione si misura nella realtà dell’impresa
Le due sentenze lombarde nascono da casi speculari. In entrambi, l’agenzia delle Entrate aveva contestato l’ammissibilità di progetti di R&S relativi agli anni 2015 - 2017, sostenendo che le attività svolte – riconducibili allo sviluppo software, alla digitalizzazione e alla progettazione industriale – mancassero del requisito della novità, in quanto fondate su metodologie, contenuti o soluzioni già presenti sul mercato.
Il caso deciso con sentenza 883/2025 riguarda un progetto di “Big Data as...
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