Crisi d’impresa, la transazione fiscale guarda agli istituti deflattivi
Prima delle modifiche apportate all’ articolo 182-ter della legge fallimentare (Rd 267/1942) dalla legge di Bilancio 2017, uno dei principali effetti della transazione fiscale proposta all’agenzia delle Entrate da un’impresa in crisi era costituito dalla “cessazione della materia del contendere” nelle liti aventi a oggetto i tributi rientranti nel campo di applicazione dalla transazione (comma 5). Tale previsione è stata abrogata e l’articolo 182-ter non contiene più alcuna disposizione circa le liti fiscali che il debitore abbia in corso.
Questa modifica è stata introdotta, stando ai documenti, senza un lavoro preparatorio atto a consentire di rilevarne con chiarezza lo scopo, il quale deve quindi essere ricavato più direttamente dal confronto fra il testo novellato e quello precedente. Da tale comparazione emerge che la transazione fiscale non produce più la cessazione della materia del contendere nelle liti fiscali relative ai tributi oggetto della transazione stessa, ma a ben vedere tale situazione può convivere sia con un regime che consenta di non proporre un accordo circa tali controversie, sia con un regime che ne imponga una definizione con l’Agenzia attraverso il ricorso, preliminare o contestuale ad altri istituti.
Diverse tesi
Il fatto che il comma 2 dell’articolo 182-ter preveda che oggetto della certificazione del debito fiscale, che l’Agenzia deve comunicare all’impresa debitrice a seguito della presentazione della domanda, sia anche «l’entità del debito derivante da atti di accertamento, ancorché non definitivi» potrebbe indurre a ritenere che anche tali importi vanno definiti mediante la transazione; questa tesi però non terrebbe conto della menzionata abrogazione del (vecchio) comma 5 disposta con la legge di Bilancio 2017, la quale depone in senso contrario, posto che l’effetto diretto della definizione delle liti è costituito proprio dalla automatica estinzione delle stesse. Perché il legislatore avrebbe abrogato tale norma, se avesse voluto che gli effetti da essa generati continuino a prodursi? Il suddetto obbligo di certificazione pare rispondere più semplicemente all’esigenza di “fotografare” la posizione del debitore nei confronti del Fisco, al fine di una compiuta valutazione della proposta transattiva, anche da parte degli altri creditori e del tribunale.
In altri termini, l’assetto normativo risultante dalle modifiche recate all’articolo 182-ter, pur disponendo la certificazione tanto dei debiti certi quanto di quelli oggetto di contenzioso, prevede due distinte forme di definizione di tali debiti: quella dei primi ha luogo mediante la transazione fiscale di cui al citato articolo 182-ter, mentre quella dei secondi è attuata in base alle regole ordinarie che disciplinano l’accertamento con adesione e la conciliazione giudiziale. La decisione concernente la proposta di transazione fiscale è assunta dalle Entrate attraverso la comparazione del grado soddisfacimento dei debiti erariali offerto del debitore e quello alternativamente realizzabile, sulla base di una specifica attestazione resa da un professionista indipendente; essa ha quindi natura oggettiva e può conseguentemente riguardare solo i debiti certi. La decisione concernente la definizione delle liti pendenti ha invece natura meno oggettiva e più aleatoria e anche per questo motivo è sottratta alla disciplina dell’articolo 182-ter e ricondotta alla propria sede naturale, che è quella dei menzionati istituti deflattivi del contenzioso tributario.