Contabilità

Dalla Ue l’esdebitazione del debitore dopo tre anni

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di Galeazzo Montella

La« Gazzetta ufficiale Ue» ha pubblicato il 26 giugno la «direttiva 2019/1023 del Parlamento e del Consiglio del 20 giugno 2019 riguardante i quadri di ristrutturazione preventiva, l’esdebitazione e le interdizioni, e le misure volte ad aumentare l’efficacia delle procedure di ristrutturazione, insolvenza ed esdebitazione»: un titolo lungo per un testo complesso. Gli Stati membri entro il 17 luglio 2021 devono adeguare, secondo le rispettive regole nazionali di produzione legislativa, i propri ordinamenti a quanto prescritto dall’Europa.

La direttiva capita in un momento delicato per l’Italia: da pochi mesi, infatti, è stato emanato, con molta fatica, il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, ed ecco che si presenta già la necessità di interventi correttivi. In sostanza, cioè, si dovranno introdurre nel Codice nuove disposizioni prescritte dalla direttiva o togliere quanto con questa incompatibile. Un lavoro non da poco, dunque, che forse sarebbe stato possibile evitare giocando d’anticipo, ossia, come hanno fatto altri Stati membri, adattando senz’altro il Codice a una direttiva sì in fieri, ma della quale da almeno due anni si conosceva già l’indirizzo essenziale.

Va però detto che, a quanto pare, non saranno necessari correttivi troppo incisivi, tanto più che l’Europa ha adottato un testo che lascia ampia libertà ai legislatori nazionali, fermi restando, beninteso, alcuni obbiettivi essenziali.

Tra questi certamente il principale è l’introduzione di «quadri di ristrutturazione preventiva»: una espressione nuova e certo destinata a entrare nel lessico della crisi d’impresa. Si tratta cioè di procedure da avviarsi quando il debitore sia, non ormai insolvente, bensì in una crisi nella quale l’insolvenza è ancora solo un rischio probabile ma non attuale. Tali procedure sono intese proprio a prevenire l’insolvenza e a garantire la sostenibilità economica del debitore. In sostanza, quindi, si vuole agevolare l’emersione sollecita della crisi, così che si possa intervenire per tempo salvando, se possibile, l’impresa e minimizzando la perdita per i creditori. Qui, molto probabilmente, per l’Italia non saranno necessari correttivi massicci: infatti il Codice già offre procedure quali il concordato preventivo, la ristrutturazione dei debiti e la composizione assistita della crisi, che, non presupponendo necessariamente l’insolvenza, ed essendo finalizzate al rilancio dell’impresa, rispettano l’indirizzo generale della direttiva.

Comunque i «quadri» prescritti dalla direttiva sono assai complessi: se dunque l’impatto sul concordato preventivo sarà abbastanza contenuto, ben diversa appare la prospettiva per le procedure di composizione assistita della crisi, cui l’applicazione della direttiva potrebbe far perdere gran parte dell’elasticità a esse ora riconosciuta dal Codice.

Il secondo intervento principale della direttiva è costituito dalle esdebitazioni e dalla cessazione delle interdizioni, entrambe ampiamente agevolate. In particolare il debitore dovrà essere esdebitato anche automaticamente già entro tre anni dall’avvio a suo carico della procedura d’insolvenza, indipendentemente che questa sia chiusa o ancora in corso. All’esdebitazione consegue, anch’essa automaticamente, la cessazione delle interdizioni all’accesso ad attività imprenditoriali o professionali. Questa la sostanza: la direttiva appare in generale espressione della scelta politica, ormai prevalente in Occidente, di agevolare al massimo la prosecuzione dell’impresa esistente o l’avvio di una nuova, sia pure a costo di un certo sacrificio per i creditori.

Qui, insomma, anche se non esplicitata, l’idea base può forse riassumersi in un «oggi a me, domani a te», ossia: tu creditore ora penalizzato, domani, a parti invertite, sarai a tua volta, se necessario, agevolato a mantenere la tua impresa, o ad avviarne una nuova.

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