Decadenza dal potere di accertamento non eccepibile con le motivazioni aggiuntive
Nell’ambito del contenzioso tributario, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di accertamento - non rilevabile d’ufficio in quanto affidata alla disponibilità della parte - non può essere eccepita dal contribuente attraverso la presentazione di motivazioni aggiunte in quanto, l’integrazione dei motivi del ricorso è accordata dal comma 2 dell’articolo 24, Dlgs 546/1992 esclusivamente in merito alla contestazione della documentazione depositata dalla controparte e sino ad allora rimasta sconosciuta. Considerato che tale disposizione pone una preclusione processuale, non può essere ricollegato alcun effetto sanante al comportamento dell’agenzia delle Entrate relativamente all’accettazione del contraddittorio nel merito. A tale conclusione è giunta la sezione V della Cassazione civile attraverso l’ordinanza n. 16803/2017.
Nel caso in esame l’Ufficio proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza 4738/2008 emessa dalla Ctr del Lazio affidando la sua impugnativa a una unica ragione di censura.
L’Agenzia delle Entrate denunciava la violazione e la falsa applicazione della legge in relazione agli articoli 18, 21, 24 e 57 del Dlgs 546/1992, con riferimento all’articolo 360 del Codice di procedura civile, comma ,1 n. 4, sostenendo che la decadenza dell’amministrazione dal potere di accertamento non può essere eccepita per la prima volta utilizzando dei motivi aggiunti.
A parere degli Ermellini il ricorso risulta essere fondato in quanto, in ordine alla questione dibattuta tra le parti, è intervenuta la giurisprudenza della Suprema Corte secondo la quale in materia di contenzioso tributario, la decadenza dell’amministrazione finanziaria dal potere di accertamento, non rilevabile d’ufficio in quanto rimessa alla disponibilità della parte, non può essere eccepita dal contribuente mediante la presentazione di motivi aggiunti, poiché l’integrazione dei motivi di ricorso è consentita dal comma 2, articolo 24 del Dlgs 546/1992, esclusivamente in relazione alla contestazione di documenti depositati dalla controparte e fino ad allora non conosciuti e, considerato che tale ultima disposizione pone una preclusione processuale, non può essere ricollegato alcun effetto sanante al comportamento di accettazione, da parte dell’Ufficio, del contraddittorio nel merito (Cassazione, sezione V, sntenza 12442/2011).
La disciplina dell’integrazione delle motivazioni di doglianza è racchiusa all’interno dei commi 2, 3 e 4, articolo 24 del Dlgs 546/1992. La medesima intestazione dell’articolo 24 «Produzione di documenti e motivi aggiunti» sottolinea la relazione esistente tra estensione della causa petendi e genesi della strategia difensiva, legame che solo nell’odierno rito ha acquisito prerogative di imprescindibilità.
All’interno dell’articolo 24 del Dlgs 546/1992, il legislatore ha fissato una differente dinamica procedurale, assegnandola a un dettato normativo nel quale risalta la mancanza della formulazione introduttiva di piena possibilità di integrazione anteriore alla notifica della data di trattazione, rimanendo bloccati i termini attribuiti al postulante nella congettura di integrazioni derivate dalla presa visione di documenti, depositati in un secondo tempo dalle altre parti, con fissazione di un’ulteriore udienza. L’espressione introduttiva di cui al comma 2, articolo 24 – nella quale si fa riferimento alla «integrazione dei motivi di ricorso, resa necessaria dal deposito di documenti non conosciuti» – corrisponde a una funzione vincolante del deposito de quo in relazione alla possibilità, offerta al ricorrente, di integrare le argomentazioni avverso l’atto amministrativo impugnato. Come rimarcato dalla Corte Suprema, l’articolo 24 del Dlgs 546/1992 «ammette l’integrazione dei motivi di ricorso, ma soltanto in relazione alla contestazione di documenti di controparte fino ad allora non conosciuti … e comunque entro il termine definito ’perentorio’ di sessanta giorni dalla data in cui si è avuta notizia di tali documenti» (Cassazione civile sentenza 24970/2005 e sent. n. 23123/2009).
Nell’apparato delle preclusioni, la possibilità concessa dall’articolo 24 del Dlgs 546/1992 è progettata come eccezione alla regola generale. L’abbozzo iniziale del thema decidendum e la regola della completa formalizzazione di tutte le rimostranze devono capitolare di fronte alla necessità di garantire al ricorrente le idonee prerogative difensive e, al processo, l’adeguamento al postulato di un reale contraddittorio. Al manifestarsi di determinate novità documentali introdotte nel contenzioso, deve pertanto essere assicurata la possibilità di graduare la propria condotta processuale attraverso l’introduzione di una novità espressiva che si realizza attraverso l’integrazione dei motivi di doglianza (da non confondere con l’allargamento o la surrogazione del petitum), e ciò per il tramite di un atto da redigere, proporre e depositare nel rispetto di quanto disciplinato in funzione dei rinvii di cui all’ultimo comma dell’articolo 24.
Cassazione, sezione tributaria, ordinanza 16803 del 7 luglio 2017