Controlli e liti

Dichiarazione con fatture inesistenti, profitto del reato nella detrazione Iva

Nelle operazioni soggettivamente inesistenti pesa la detrazione senza costi sostenuti

di Laura Ambrosi e Antonio Iorio

Il profitto del reato della dichiarazione fraudolenta con utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti consiste nell’Iva detratta senza considerare i costi sostenuti. È quanto emergerebbe dalla lettura della sentenza 36207/2021 dalla Cassazione. Il condizionale è d’obbligo perché la decisione in alcuni punti cita giurisprudenza secondo cui i costi relative alle fatture soggettivamente inesistenti non sarebbero deducibili.

Ma vediamo i termini della questione delicata e diffusa. A un imprenditore indagato per utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti veniva sequestrato il profitto del reato quantificato nell’ammontare dell’Iva detratta. Ricorreva in cassazione ed eccepiva che il profitto non poteva determinarsi nell’Iva ritenuta evasa ma solo nel guadagno, con la detrazione delle spese. La Corte ha rigettato il ricorso rilevando che per la dichiarazione fraudolenta con utilizzo di false fatture non si possono considerare costi e il profitto del reato consiste nell’imposta utilizzata per il risparmio di spesa portata in detrazione senza averla pagata. A questo proposito viene citata la sentenza 29977/2019 in base alla quale «in tema di utilizzazione di fatture soggettivamente inesistenti i costi relativi alle stesse non sono mai deducibili, con la conseguenza che la loro indicazione in dichiarazione configura una finalità di evasione e realizza un corrispondente profitto senza che rilevi in senso contrario la circostanza che, pur avendo sostenuto tali costi nei confronti del soggetto fittiziamente interposto il destinatario della fattura sia tenuto a corrispondere nuovamente l’Iva».

La pronuncia genera dei dubbi. La sentenza conferma il sequestro dell’Iva (e non delle imposte sui redditi) a fronte dell’utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti. Pare altrettanto certo che sia l’Iva il profitto del reato (con analogia alla rettifica fatta ai fini tributari) nella misura interamente detratta senza alcun abbattimento, anche se l’imposta detratta, in molti casi, sia stata versata (al fornitore) e quindi l’interessato non ha conseguito alcun profitto.

Resta da chiarire l’asserita indeducibilità dei costi (ai fini dei redditi) non oggetto della sentenza ma richiamata citando un’ altra pronuncia. Ci sono alcune sentenze che hanno ritenuto indeducibile (ai fini penali) anche il costo per le imposte sui redditi contrariamente a quanto avviene in campo tributario quasi a confonderlo con l’Iva. La posizione è singolare e, pur nell’autonomia del giudice penale nella quantificazione dell’imposta evasa, è indubbio che la norma tributaria di riferimento consenta la deducibilità. Sarebbe auspicabile una pronuncia delle Sezioni Unite che chiarisca il comportamento ai fini Iva e ai fini delle imposte dirette, senza confondere le due posizioni.

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