Controlli e liti

Dichiarazione infedele dei redditi con sanzione amministrativa e penale

Per la Cassazione non c’è ne bis in idem tra dichiarazione infedele e l’analogo reato tributario

di Antonio Iorio

Non sussiste il ne bis in idem tra la dichiarazione infedele e l’analogo reato tributario. A fornire questa rigorosa interpretazione è la Cassazione, sezione 3 penale, con la sentenza n. 4439/2021 depositata ieri

In sintesi la vicenda riguardava un procedimento penale per il reato di dichiarazione infedele dei redditi. Il contribuente ai fini tributari aveva aderito all’accertamento pagando l’imposta e le relative sanzioni e interessi. Nel corso del procedimento penale invocava l’applicazione del ne bis in idem, avendo già scontato la sanzione tributaria e trattandosi esattamente del medesimo illecito

La Corte d’appello rigettava la richiesta e confermava la condanna. L’imputato ricorreva in cassazione lamentando, tra l’altro, l’assoggettamento a due sanzioni per la stessa violazione. Evidenziava poi che non ricorreva la condizione posta dalla Cedu (sentenza A e B contro Norvegia) relativa al nesso temporale e materiale sufficientemente stretto, in quanto la sanzione tributaria era stata inflitta nel 2015. Eccepiva poi che si trattava di due procedimenti sanzionatori ben distinti, aventi regole probatorie differenti.

La Cassazione ha respinto il ricorso. I giudici, dopo aver ripercorso la giurisprudenza anche sovranazionale in materia, hanno affermato la legittima applicazione di entrambe le sanzioni: ricorrerebbero, nella specie, le condizioni previste dalla citata sentenza Cedu. In particolare, vi era una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta tra i due procedimenti: erano stati avviati entrambi contestualmente con la notifica sia dell’accertamento, sia dell’avviso di conclusione indagini ad aprile 2015, a nulla rilevando la prosecuzione per gli anni successivi del procedimento penale.

La pena complessivamente inflitta (da valutare per l’esclusione del ne bis in idem) non risultava gravosa, in quanto nel procedimento amministrativo era stata applicata la misura minima con riduzione per effetto dell’adesione e nel procedimento penale la circostanza attenuante. Secondo la Cassazione il sistema del “doppio binario” è giustificato dalla rilevanza degli interessi nazionali e dalla diversità dei fini perseguiti: il procedimento ammnistrativo è volto al recupero delle imposte non versate, il procedimento penale è teso alla prevenzione e repressione dei reati tributari.

Così, la minaccia della sanzione detentiva per condotte particolarmente allarmanti (essendo previste soglie di punibilità) in aggiunta a una sanzione amministrativa esprime la ferma riprovazione dell’ordinamento a fronte di condotte gravemente pregiudizievoli per gli interessi finanziari nazionali ed europei. I giudici sembrano applicare in modo molto rigoroso i dettami delle Corti europee. Occorre a questo punto chiedersi quale sia la rilevanza della previsione del principio di specialità (articoli 19 e seguenti del Dlgs n. 74/2000) introdotto proprio dal legislatore per evitare una doppia sanzione nel caso di illeciti tributari costituenti reato, se poi, è ritenuta corretta tale doppia sanzione.

Da rilevare, infine, che la presenza delle soglie di punibilità e della sanzione amministrativa citate nella sentenza a fini della non applicazione del ne bis in idem, potrebbero per altri illeciti (ad esempio, la dichiarazione fraudolenta mediane false fatture che non prevede soglie e ai fini tributari è severamente sanzionata) configurare, al contrario della dichiarazione infedele esaminata, il divieto di doppia sanzione.

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