Dichiarazione infedele, sì al sequestro dei pc
Per accertare il reato di
Il ricorso
Nei confronti di tre odontoiatri, indagati per il reato di dichiarazione infedele, il Pm dispone il sequestro di attrezzature professionali, tra cui sette personal computer. I diretti interessati si oppongono al Tribunale del riesame affidandosi a tre motivi di illegittimità.
Le attrezzature professionali non sono qualificabili come cose pertinenti al reato o come corpo di reato in assenza di indizi, tracce o elementi decisivi per provare la colpevolezza.
La Convenzione di Budapest del 2008 sulla criminalità informatica impedisce il sequestro di interi sistemi informatici.
Il sequestro di software è illegittimo e viola le norme processuali in tema di segreto professionale se sono ivi contenuti i dati sensibili dei clienti.
Il Pm ribadisce la funzionalità del provvedimento allo svolgimento delle indagini penali e il Tribunale del riesame sposa la sua tesi e rigetta il ricorso.
La sentenza
I professionisti ricorrono in Cassazione ma la Corte conferma la legittimità del sequestro. In primo luogo, la ricerca del software applicativo e della pen drive possono rendersi necessari per accertare le modalità di commissione del reato di dichiarazione infedele. In presenza di dichiarazioni accusatorie in base alle quali il software applicativo viene utilizzato per la gestione di una contabilità parallela, infatti, è sempre da ritenersi congrua la sua perquisizione per rinvenire il corpo del reato su cui condurre ulteriori accertamenti.
Inoltre l’utilizzo di una componente nascosta del software, attivabile mediante pen drive, giustifica e rende proporzionata l’ablazione dell’intero sistema informatico. Ciò perché occorre apprendere tutti i supporti hardware per sottoporli ad analisi informatica ed accertare all’interno del software il fatto oggetto di presunto reato.
Infine, non rileva il fatto che le attrezzature informatiche contengano dati personali sensibili che rivelano i rapporti professionali con i clienti dello studio. Il Pm, infatti, non ha limiti nell’acquisizione di apparecchiature informatiche contenenti dati sensibili, diversamente dai soggetti pubblici, che possono utilizzarli solo per lo svolgimento di funzioni istituzionali.
Cassazione, III sezione penale, sentenza 1159 dell’11 gennaio 2017