Controlli e liti

E-commerce, i controlli della GdF fanno rotta sulle frodi Iva dei piccoli operatori

di Ivan Cimmarusti

Stretta sulle frodi Iva delle Pmi nell’E-commerce, un mercato che ormai vale 27 miliardi di euro. Sotto monitoraggio della Guardia di finanza sono finite quelle realtà imprenditoriali italiane – piccole e medie – che operano sul web attraverso propri “marketplace”, piattaforme per la vendita di beni o servizi. In ballo c’è un business che in quattro anni ha subìto un incremento del 91 per cento e che si presta a un elevato rischio di evasione.

L’attività rientra nel Piano antievasione con cui il Governo intende recuperare 4 decimali di Pil (7, 2 miliardi di euro) e stangare le frodi fiscali. Fenomeni stimati in 109,7 miliardi di euro dalla Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva depositata al Senato con la nota di aggiornamento al Def. Circa 37 miliardi di imposte sottratte all’Erario sono indicate sotto la voce Iva. Per questo, con l’incremento delle vendite via web, è stato elevato il livello dei controlli. D’altronde – a parte i 27 miliardi – il fatturato dell’E-commerce è passato da 4,9 miliardi del 2007 ai 35,1 miliardi del 2017: un aumento di oltre il 620 per cento, che ha spinto l’amministrazione finanziaria a predisporre degli indicatori di rischio mirati.

Contro i cyberevasori «la Guardia di finanza ha istituito e perfezionato un presidio del territorio virtuale», con «attività di intelligence e di controlli, per intercettare patologie o segnali di patologia», ossia la traccia di una frode Iva, spiega il colonnello Pasquale Russo, comandante del Nucleo speciale entrate della Guardia di finanza: «L’evasione tramite il web non è un fenomeno esclusivo dei big player».

L’analisi di rischio sulle principali forme di evasione ha portato a predisporre nuovi piani operativi, questa volta verso il business delle Pmi che operano sulla rete. Per questo l’asticella dei controlli è stata alzata, con un’analisi del web attraverso programmi di scraping (tecnica informatica di estrazione di dati) che indirizzano gli investigatori del Fisco verso una determinata azienda a rischio frode.

«Una spia – continua Russo – è il prezzo troppo basso di un determinato prodotto rispetto ad altri simili ma con un valore ben più alto. In questo caso può sorgere il sospetto che ci troviamo davanti a una frode Iva».

Esistono poi determinati alert: «La catena di approvvigionamento – aggiunge – viene ricostruita per risalire ai vari passaggi, così da comprendere se quel prezzo è più basso rispetto a quello che dovrebbe essere. È possibile che in questa catena qualcuno possa aver operato con una “cartiera” influendo sulla variabile fiscale per trarne vantaggio a danno dell’Erario». C’è il rischio, infatti, che tra il fornitore e il rivenditore finale vengano interposte società filtro che hanno lo scopo di allontanare il beneficiario effettivo della frode dalla frode stessa, in modo da rendere più difficoltosa la ricostruzione dei fatti. «Si deve guardare passaggio per passaggio», continua. La prova del nove scatta con l’incrocio dei dati tra la fatturazione elettronica e le liquidazioni periodiche dell’Iva. «È mettendo insieme questi dati che comprendiamo se abbiamo a che fare con un soggetto “compliant” col Fisco o, invece, con un evasore».

Gli strumenti tecnologici, l’incrocio delle banche dati e la possibilità di ridurre i tempi nell’acquisizione e nell’analisi delle informazioni “sensibili” consentono alla Guardia di finanza di essere molto più vicina al momento in cui si perfeziona l’evasione.

«Il web – conclude Russo – è diventato lo strumento attraverso cui imprese accedono a un mercato più vasto, offrendo i loro prodotti. Ci sono le aziende tradizionali che sfruttando la rete e riescono a rivolgersi a una platea più ampia. Ma allo stesso tempo ci sono trader che si lanciano nella rete operando in totale esenzione di adempimenti e obblighi fiscali».

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