Controlli e liti

È integrabile l’accordo di ristrutturazione del debito

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di Giovanni Negri

L’accordo di ristrutturazione del debito può essere integrato. Come nel caso del concordato preventivo. Lo stabilisce la Cassazione con la sentenza della Prima sezione civile n. 9087 depositata ieri. La pronuncia accoglie così il ricorso presentato contro la decisione della Corte d’appello che aveva invece negato un breve slittamento temporale per rendere possibile la presentazione della documentazione relativa alla sottoscrizione dell’accordo da parte di un istituto di credito.

La Cassazione, nell’affrontare la questione, che riguarda l’identità dell’istituto dell’accordo di ristrutturazione del debito, precisa che questo appartiene all’area del diritto concorsuale. Anzi, deve essere collocato tra le procedure concorsuali. A conclusione diversa, invece, bisognerebbe arrivare nel caso del piano attestato di risanamento che rientra tra le convenzioni stragiudiziali perché non è previsto l’intervento dell’autorità giudiziaria (sia nel caso di semplice valutazione, sia nel caso di controllo) e la partecipazione dei creditori: rappresenta piuttosto una decisione dell’impresa sul suo futuro e sul progetto di ripianamento dell’intera situazione finanziaria.

Tutte le riforme di questi anni, tra l’altro, in materia di diritto della crisi d’impresa, sia sul fronte nazionale sia su quello internazionale, ricorda la Corte, hanno di fatto reso anacronistico l’approccio tradizionale che individuava come profili qualificanti della concorsualità elementi come il coinvolgimento del giudice sin dalle prime fasi della procedura, la previsione di una fase preventiva di ammissione, lo spossessamento totale o parziale del debitore, la presenza di organi di nomina giudiziale.

Sin dalla prima stagione di riforma, datata 2005, si è del resto assistito all’importazione di più accentuati profili di autonomia e negozialità all’interno di tutte le procedure concorsuali. La Cassazione mette in evidenza allora come la sfera della concorsualità può oggi essere rappresentata come «una serie di cerchi concentrici, caratterizzati dal progressivo aumento dell’autonomia delle parti man mano che ci si allontana dal nucleo (la procedura fallimentare) fino all’orbita più esterna (gli accordi di ristrutturazione dei debiti), passando attraverso le altre procedure di livello intermedio».

Al di fuori di questo perimetro immaginario restano solo gli atti di autonoma organizzazione dell’impresa come i piani attestati di risanamento e gli accordi di natura solo stragiudiziale che non richiedono un passaggio davanti al giudice neppure per l’omologazione.

La sentenza precisa allora che la cifra della moderna concorsualità fa perno su 3 profili minimi:

1) una forma di interlocuzione con l’autorità giudiziaria con un obiettivo almeno di protezione nella fase iniziale e di controllo nella fase conclusiva;

2) il coinvolgimento formale di tutti i creditori, almeno a livello informativo e per attribuire anche solo ad alcuni il ruolo di «estranei» dal quale fare derivare conseguenze giuridiche determinate;

3) una forma qualsiasi di pubblicità.

I giudici mettono poi in risalto l’interscambiabilità tra concordato preventivo e accordo di ristrutturazione come strumenti di regolazione della crisi d’impresa. E quanto all’applicazione del rinvio di un massimo di 15 giorni per integrare il piano o presentare nuova documentazione per la Corte sarebbe possibile anche un’applicazione diretta, ma, in ogni caso, non ci sono ostacoli a un’applicazione analogica.

Corte di cassazione, Prima sezione civile, sentenza 12 aprile 2018 n. 9087

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