Fallimenti, credito nel passivo con imposta di registro fissa
Il decreto del tribunale fallimentare che, definendo un giudizio di opposizione allo stato passivo del
È questa la conseguenza della dichiarazione di parziale illegittimità costituzionale dell’articolo 8, comma 1, lettera c), della Tariffa parte prima, allegata al Dpr 131/1986 (il Testo unico dell’imposta di registro), e cioè nella parte in cui tale norma dispone in ogni caso l’applicazione dell’aliquota dell’1% alla base imponibile rappresentata dal valore del credito ammesso allo stato passivo. La contrarietà alla Costituzione, in particolare con l’articolo 3 (che detta il principio di parità di trattamento di situazioni eguali), è stata dichiarata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 177 depositata il 13 luglio 2017.
La sentenza della Corte Costituzionale segna dunque un radicale cambiamento di prospettiva rispetto al costante atteggiamento della giurisprudenza di legittimità, per il quale il provvedimento di ammissione di un credito, precedentemente escluso, allo stato passivo di un fallimento, deve essere assoggettato all’imposta proporzionale dell’1%, e ciò in quanto una pronuncia emessa in esito a un giudizio contenzioso di cognizione contenente l’accertamento, nei confronti della procedura fallimentare, dell’esistenza e dell’efficacia del credito con l’effetto di consentire al contribuente la partecipazione al concorso e la possibile soddisfazione delle sue ragioni in sede di riparto (Cassazione n. 1849/2000; 12359/2005; 14816/2011; 17946 e 17947/2012; 19247/2012).
La lesione del principio di eguaglianza è stata rilevata per l’irragionevolezza del trattamento differenziato, operato dalla legge di registro, tra le pronunce di accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette a Iva (tassate con l’aliquota dell’1%) e le pronunce di condanna al pagamento dei crediti derivanti da operazioni soggette all’Iva, per quali la nota II all’articolo 8 della Tariffa, parte prima, allegata al Dpr 131/1986, prevede l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa.
In quest’ultimo caso l’applicazione dell’imposta di registro in misura fissa dipende dal principio di alternatività tra Iva e imposta di registro, sancito dall’articolo 40 del Dpr 131/1986 al fine di evitare situazione di doppia imposizione. Ebbene, nel novero degli atti giudiziari, l’ambito di applicazione del principio di alternatività è specificamente limitato, come precisato dalla citata nota II all’articolo 8 della Tariffa, ai provvedimenti di condanna «per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto».
Invece, secondo la Corte Costituzionale, tenuto conto della “filosofia” del principio di alternatività, il quale mira a evitare che, allo stesso atto, sia da applicare una duplice tassazione, si deve pervenire, anche per le pronunce di accertamento dei crediti che definiscono il giudizio di opposizione allo stato passivo del fallimento, alle stesse conseguenze di tassazione che si hanno nel caso delle sentenze di condanna.
Infatti, il trattamento differenziato tra la sentenza di accertamento di un credito e la sentenza di condanna non risponde a ragionevolezza qualora si tratti dell’accertamento di un credito derivante da una operazione soggetta all’Iva: nel caso dell’accoglimento dell’opposizione allo stato passivo, questo accertamento è il presupposto necessario e sufficiente della partecipazione del creditore all’esecuzione collettiva, la quale è strumentale al pagamento del credito stesso.
Quindi, la differenza tra le pronunce di accertamento e le pronunce di condanna, «tende a sfumare sino a dissolversi», e ciò in quanto «per la soddisfazione del credito ammesso al passivo, infatti, non è richiesta una successiva pronuncia di condanna suscettibile di esecuzione forzata, preclusa dal divieto ex art. 51 della legge fallimentare».
La sentenza n. 177/2017 della Corte Costituzionale