Falsa fatturazione, sì all’associazione a delinquere
Confermata dalla Cassazione penale, con la sentenza n. 23953 del 4 giugno, la pronuncia di condanna per il reato di associazione a delinquere (articolo 416 Codice penale) emessa dalla Corte di Appello di Messina nei confronti di tre soggetti, parenti stretti tra loro, che si erano associati al fine di commettere una serie indeterminata di frodi fiscali e truffe aggravate attraverso la costituzione di una serie di società, tra loro collegate, molte delle quali risultavano avere come unico scopo di fungere da “cartiera”.
La vicenda trae origine da un articolato ricorso in Cassazione presentato da tre condannati per associazione a delinquere – finalizzata alla commissione dei reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 2 del Dlgs 74 del 2000), dichiarazione infedele (articolo 4), omessa dichiarazione (articolo 5), emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (articolo 8) e indebita compensazione (articolo 10-quater) – sulla base di una presunta erronea applicazione, da parte del collegio siciliano, della legge penale e tributaria.
Tuttavia, per la Corte Suprema, la sentenza appellata – seguendo un percorso argomentativo immune da vizi logici e giuridici – ha interpretato secondo legge il quadro probatorio fornito dalla pubblica accusa, dalla quale emerge inequivocabilmente il reato associativo contestato, su base familiare, e caratterizzato da un'articolata struttura organizzativa approntata mediante la costituzione di plurime entità societarie – peraltro aventi sedi in luoghi diversi e distanti tra loro – di un numero esagerato delle singole condotte illecite, nonché della durata nel tempo del disegno criminoso posto in essere.
Infatti, in virtù di una sua precedente pronuncia (sentenza n. 21606 del 2009), la Cassazione ribadisce che ricorre la struttura organizzativa dell’associazione per delinquere quando i componenti di una stessa famiglia non si limitano alla commissione di una serie di reati, traendo vantaggio dalla preesistente organizzazione familiare, ma realizzano, nell’ambito della struttura preesistente o accanto ad essa, un’altra organizzazione, dotata di distinta e autonoma operatività criminosa.
L’unitarietà del gruppo e del relativo disegno criminoso, continua la Corte Suprema, si desume anche da ulteriori elementi, quali l’unicità dell’utenza telefonica, dell’unitaria ubicazione delle sedi e degli uffici, dalla coincidenza delle attività produttive, dalla concentrazione negli stessi uffici dell’attività amministrativa e contabile, nonché dall’utilizzazione promiscua del personale.
Oltretutto, a seguito di accertamenti bancari, conclude la Corte, era emerso che la maggior parte delle imprese del gruppo, sebbene inattive, emetteva una serie di fatture per operazioni inesistenti in favore di altre società del gruppo, consentendo così alle imprese riceventi di azzerare i debiti di imposta.
Corte di Cassazione, terza sezione penale, sentenza 23953 del 4 giugno 2015