Controlli e liti

Fatture inesistenti, serve la prova della consapevolezza

La sentenza 25106/2020 della Cassazione: non basta la condotta antieconomica del fornitore come la vendita a prezzi sottocosto

di Laura Ambrosi

In tema di fatture soggettivamente inesistenti, la condotta antieconomica del fornitore non necessariamente è prova della consapevolezza della frode da parte del contribuente: occorre infatti verificare se ed in che modo poteva conoscere simili informazioni. Lo afferma la Cassazione con la sentenza 25106/2020 depositata il 10 novembre.

La vicenda trae origine da un avviso di accertamento con cui l’agenzia delle Entrate ha recuperato ad una società l’Iva su alcune fatture ritenute soggettivamente inesistenti. Il provvedimento, impugnato dinanzi al giudice tributario, sul punto veniva confermato in appello e la società proponeva così ricorso in Cassazione. La contribuente lamentava che il collegio di merito aveva errato nel confermare la sussistenza della consapevolezza della partecipazione alla frode. Più precisamente, la sentenza della Ctr si fondava nel presupposto che il fornitore aveva acquistato a un prezzo superiore rispetto a quello applicato alla contribuente in sede di rivendita.

La Cassazione ha ricordato che l’amministrazione ha l’onere di provare non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta. Deve provare in base ad elementi oggettivi e specifici non limitati alla mera fittizietà del fornitore, che il contribuente sapeva o avrebbe dovuto sapere con l’ordinaria diligenza che l’operazione si inseriva in una evasione fiscale e che disponeva di indizi idonei a porre sull’avviso qualunque imprenditore onesto e mediamente esperto. Il contribuente deve poi fornire prova contraria.

I giudici di legittimità hanno rilevato che l’elemento caratterizzante la consapevolezza era l’acquisto a un prezzo sottocosto rispetto agli ordinari listini. Circostanza avvalorata, secondo l’Ufficio e il giudice di merito, dal fatto che il fornitore acquistava a prezzi superiori. La Cassazione ha però rilevato la mancanza della prova della consapevolezza, cioè di come la ricorrente avrebbe potuto conoscere i prezzi pagati dal proprio fornitore.

La decisione è interessante poiché rimarca l’importanza ai fini dell’onere probatorio a carico dell’amministrazione finanziaria, degli indizi sulla consapevolezza. Le contestazioni relative a fatture soggettivamente inesistenti si fondano per lo più sulla circostanza che il fornitore non adempia ai propri obblighi fiscali ovvero sulla sua condotta antieconomica. Elementi impossibili da conoscere per il contribuente, tanto più che se anche chiedesse simili notizie al proprio fornitore, riceverebbe verosimilmente false notizie rassicuranti. Gli uffici emettono a volte accertamenti in via quasi automatizzata, trascurando l’impossibilità per i contribuenti di accedere a simili informazioni. Sarebbe forse sufficiente che i verificatori, prima di emettere il provvedimento, verifichino se, senza utilizzare i propri poteri di controllo ed i dati presenti nell’anagrafe tributaria, siano comunque in grado di scoprire la frode magari utilizzando i motori di ricerca.

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