Imposte

Fisco e Cassazione troppo rigidi sulla deducibilità delle sanzioni

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di Gianfranco Ferranti

Amministrazione finanziaria e Cassazione da una parte e dottrina dall’altra si trovano su fronti contrapposti in merito alla deducibilità delle sanzioni.

Le prime due hanno ritenuto immanente nell’ordinamento tributario il principio della indeducibilità delle sanzioni, avente il fine di salvaguardare la natura afflittiva e la funzione “preventiva” delle stesse. La dottrina ha, invece, sostenuto che tale penalizzazione non troverebbe fondamento normativo.

La linea dell’Agenzia

Nella prassi è stato più volte sancito il principio della indeducibilità delle sanzioni pagate dalle imprese perché si tratterebbe di costi non inerenti. Mancherebbe, infatti, un nesso funzionale con l’attività imprenditoriale, data la finalità repressiva e “preventiva” del comportamento illecito propria delle sanzioni.

Secondo le Entrate non assumerebbe a tal fine rilievo neanche la norma che consente la deducibilità dei costi riconducibili a illeciti civili o amministrativi, perché le sanzioni costituiscono il frutto della reazione dell’ordinamento, fondata sulla legge, a un comportamento illecito e non possono essere considerate costi finalizzati alla produzione dei proventi anch’essi illeciti.

Le stesse conclusioni sono state ritenute applicabili agli esercenti arti e professioni (circolare 55/E/2002).

Tale posizione è stata assunta con riguardo a svariate tipologie di sanzioni, quali quelle irrogate alle imprese per la violazione della normativa comunitaria oppure dall’Autorità antitrust o dalla Consob. È stato anche rilevato che nel caso in esame:

in considerazione dei costanti indirizzi giurisprudenziale e di prassi non sono configurabili le obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della legge;

non è applicabile la disposizione del comma 4-bis dell’articolo 14 della legge 537/1993, in base al quale i componenti negativi sono deducibili se riconducibili a illeciti civili o amministrativi e non in caso di illeciti penalmente rilevanti.

La giurisprudenza di legittimità

La Corte di cassazione ha anch’essa ripetutamente stabilito che le sanzioni non sono deducibili, perché rivestono una funzione di deterrente di futuri possibili analoghi illeciti, e consentirne la deduzione dal reddito significherebbe neutralizzarne la ratio punitiva e trasformarla in un risparmio d’imposta, cioè in un “premio” per le imprese che abbiano agito in violazione delle norme.

È stata, in particolare, esclusa la deducibilità delle sanzioni: per le infrazioni alle norme sulla circolazione stradale (sentenze 7071/2000 e 7317/2003); pagate dall’imprenditore a titolo di condono edilizio (sentenze 10952/2005 e 1860/2007, che hanno, però, ammesso la deducibilità degli oneri di urbanizzazione); irrogate dagli organismi garanti della concorrenza e del mercato (pronunce 5050/2010, 600/2011, 10590/2015 e 14137/2017).

È stato considerato fiscalmente irrilevante anche «l’esborso effettuato per evitare indagini fiscali e la connessa interferenza sulla vita dell’impresa, a prescindere dalla sua ricollegabilità a concussione o corruzione» (sentenza 5796/2001), così come il riscatto pagato per la liberazione di un dirigente (sentenza 8818/1995).

Il principio di inerenza

L’Assonime e l’Aidc di Milano hanno, però, espresso un diverso orientamento interpretativo. In effetti, l’inerenza delle sanzioni non risulta in alcuni casi riscontrabile: si pensi, ad esempio, alle sanzioni relative alle imposte anch’esse non ammesse in deduzione (quali quelle sul reddito) e alle infrazioni alle norme sulla circolazione stradale (delle quali risulta difficile dimostrare la necessità ai fini della produzione del reddito).

Si deve ritenere, però, che la concorrenza delle sanzioni alla determinazione del reddito d’impresa non possa considerarsi “assoluta” né dipendere da giudizi di valore di natura etico/morale.

La loro deducibilità potrebbe essere fondata sulla inerenza delle stesse all’attività dell’impresa, requisito connesso alla necessità che il reddito sia determinato al netto dei costi sostenuti per la sua produzione e che riguarda la complessiva attività d’impresa, da valutare anche in proiezione futura. Si pensi, ad esempio, alle sanzioni antitrust, irrogate a seguito di comportamenti delle imprese finalizzati all’incremento della produzione e dei relativi ricavi.

Non va poi dimenticato il principio di derivazione del reddito dal risultato del bilancio, nel quale vanno indicate, in base ai principi contabili, anche gli «oneri per multe, ammende e penalità». Si auspica perciò che l’Agenzia e la Cassazione tengano conto di tali principi nelle loro successive pronunce.

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