FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: compensazione Iva, confisca, motivazione dell’atto
Il ruolo reso esecutivo dopo il fallimento non impedisce la compensazione Iva. Resta la confisca anche con l’acquiescenza alle sanzioni. Solo la motivazione dell’atto tributario garantisce il diritto all’informativa. Per la decadenza fa fede la data di consegna all’amministrazione postale. Sono alcuni dei temi della rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.
Il giudice tributario valuta improponibilità e inammissibilità dei ricorsi contro i ruoli notificati via Pec
È improponibile per carenza d’interesse il ricorso delle iscrizioni a ruolo (nella sentenza: «estratto di ruolo»), cioè della parte del ruolo riferita al singolo contribuente, senza contestuale impugnazione delle relative notificazioni di ruolo (le cartelle del concessionario della riscossione). Questo perché la singola iscrizione di ruolo non è impugnabile da sola, perché è mero atto interno della pubblica amministrazione, poi esternato esclusivamente tramite la sua notificazione. In ogni caso, il contribuente non può più contestare la pretesa tributaria riportata nell’iscrizione a ruolo se è dimostrata la corretta notificazione dell’iscrizione a ruolo tramite le cartelle a mezzo della Pec, come da documentazione prodotta dalla parte resistente e non opposta dal contribuente, perché in tal caso si avrebbe l’inammissibilità del ricorso per intempestività dell’esercizio dell’azione. Nel caso di specie, il contribuente contesta la pretesa tributaria riportata nelle iscrizioni a ruolo per oltre 680mila euro senza nulla eccepire sulla mancata notificazione delle iscrizioni a ruolo, cioè delle cartelle).
• Ctp Milano, sentenza 4477/1/2017
Il ruolo reso esecutivo dopo il fallimento non impedisce la compensazione Iva
È legittima la compensazione operata dall’amministrazione (nel caso di specie, nel maggio 2015) tra credito Iva relativo al 2010 (nel caso esaminato, per oltre 60mila euro) chiesto a rimborso dalla società ed il debito Iva 2011 (nel caso di specie, per oltre 82mila euro) esistente in capo alla medesima contribuente, poi dichiarata fallita nel marzo 2012. Questo perché, ai sensi dell’articolo 56 della Legge Fallimentare, i soggetti al contempo creditori e debitori del fallito possono compensare i relativi crediti e debiti sorti anteriormente alla data di fallimento. E non rileva la circostanza che il ruolo del debito Iva 2011 sia reso esecutivo solamente nel gennaio 2014, dato che non si tratta di debito post fallimento, bensì di atto meramente ricognitivo di debito già preesistente ante fallimento.
• Ctp Treviso, sentenza 303/4/2017
Resta la confisca anche con l’acquiescenza alle sanzioni
Sì alla confisca della merce importata se, a seguito della verifica dell’Ufficio doganale, risulta che il contribuente ha dichiarato di voler sdoganare merce in realtà difforme da quella effettivamente importata al solo fine di sostenere minori oneri doganali e così contrabbandare tale merce. Questo perché, dal comportamento tenuto dal contribuente si evince chiaramente l’intento “fraudolento” di tentato contrabbando, e non si tratta di mero errore materiale come sostenuto dallo stesso ricorrente. Tale confisca non viene meno per l’acquiescenza che il contribuente ha dato alla sanzione amministrativa e che pretenderebbe poi la confisca della merce. Al contrario, l’aver prestato acquiescenza alla sanzione amministrativa subita pagando il terzo irrogato (nel caso di specie, oltre 2mila euro) cristallizza l’illecito commesso e quindi legittima la confisca prevista dall’articolo 301 del Tuld (Disposizioni legislative in materia doganale) della merce importata qualificabile come pena ulteriore ed accessoria alla sanzione amministrativa.
• Ctp Varese, sentenza 339/4/2017
Solo la motivazione dell’atto tributario garantisce il diritto all’informativa
L’accertamento tributario incide negativamente la sfera patrimoniale del contribuente e va adeguatamente motivato, indicando i presupposti di fatto e le ragioni di diritto, e non deve limitarsi a riportare una serie di codici criptici con richieste di pagamento senza spiegarne le modalità di calcolo. Questo perché l’atto tributario deve garantire al destinatario intanto un’adeguata informativa, così da contenere tutte le conoscenze dell’Amministrazione tributario e quindi esternare con chiarezza, sia pur sinteticamente, l’iter logico-giuridico seguito per giungere alla conclusione prospettata. Poi per garantire il diritto alla difesa, perché la motivazione segna i confini del processo tributario sì che l’Amministrazione non può porre a base della propria pretesa ragioni diverse e/o modificare, nel corso del giudizio, da quelle emergenti dalla motivazione dell’atto.
Nella vicenda al centro del contenzioso, l’Amministrazione aveva liquidato una maggior imposta di registro per oltre 170mila euro su una sentenza emessa dalla Corte d’appello di Milano su lodo arbitrale di condanna di un soggetto al pagamento di oltre 5milioni di euro a titolo di risarcimento del danno per inadempimenti contrattuali. Si limita ad indicare nell’avviso di liquidazione: il numero dell’atto «sentenza civile n. 1398/2009»; la controparte; una serie di tre codici «109T, 806T e 964T», con a fianco la somma da corrispondere per ogni codice. Mancavano, invece, la norma specifica applicata, la base imponibile, la metodologia liquidativa.
• Ctr Lombardia, sentenza 2991/22/2017
Per la decadenza fa fede la data di consegna all’amministrazione postale
La notifica dell’accertamento Ici si considera effettuata alla data di consegna all’ufficio postale perché non rileva né la formazione dell’atto (nel caso di specie, accertamento Ici relativo alle annualità 2000 e 2001 redatto il 27 dicembre 2006), né la data di ricezione da parte del soggetto destinatario (avvenuta nell’anno 2007). Pertanto in caso di contestazione della decadenza dell’azione impositiva, l’ente locale deve dare prova che la consegna sia avvenuta nei termini (nella fattispecie entro il 31 dicembre 2006).
• Ctr Sardegna, sentenza 140/1/2017