Controlli e liti

FISCO E SENTENZE/Le massime di merito: fusione, indeducibilità degli interessi, imposta di registro

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di Ferruccio Bogetti e Filippo Cannizzaro

L'omessa comunicazione della fusione legittima l’iscrizione a ruolo delle sole sanzioni. Indeducibili gli interessi pagati dalla stabile organizzazione italiana alla casa madre francese. Bollo sulle fatture virtuali in regime di esenzione per le prestazioni interprofessionali. Il pagamento del debitore in solido in corso di giudizio libera gli altri coobbligati. Sono alcuni dei temi della rassegna di questa settimana delle principali pronunce delle Commissioni tributarie di primo e secondo grado.

L’omessa comunicazione della fusione legittima l’iscrizione a ruolo delle sole sanzioni
È illegittima l’iscrizione a ruolo delle maggiori imposte a seguito del disconoscimento delle perdite dell’incorporata (nel caso di specie, maturate nel 2011 e per oltre 70mila euro) portate in deduzione negli esercizi successivi dall’incorporante (deduzione avvenuta nel periodo d’imposta 2012, anno in cui si è concretizzata la fusione per incorporazione), per omessa compilazione del quadro RV, cioè del quadro in vanno esposte i dati relativi alla riconciliazione dei dati di bilancio, tra cui anche le perdite dell’incorporata. Intanto l’incorporata faceva parte del gruppo dell’incorporante già prima della maturazione delle perdite. Poi non rileva l’omessa comunicazione del quadro RV ai fini della possibilità di portare in deduzione le perdite, perché le stesse sono reali e la cui esistenza non è contestata dal fisco. Per contro, è legittima l’iscrizione a ruolo delle sanzioni per l’omessa compilazione del quadro RV, poiché trattasi di una violazione, seppur formale, commessa dalla contribuente.
Ctp Cremona, sentenza 140/1/2017

Indeducibili gli interessi pagati dalla stabile organizzazione italiana
Non sono deducibili gli interessi corrisposti dalla stabile organizzazione italiana (nel caso di specie, esercente attività bancaria) alla società “madre” francese a fronte del finanziamento ricevuto dalla stessa se il fondo di dotazione (elemento di tipo figurativo che, in base alle disposizioni della Banca d’Italia, rappresenta quel capitale minimo - voce di patrimonio netto - grazie al quale la stabile organizzazione può svolgere la propria attività bancaria), è insufficiente. Infatti tali interessi nascondono utili sottratti all’Amministrazione fiscale italiana, perché, di fatto, sono somme di patrimonio netto, e quindi improduttive di interessi. A livello di imposte. In primo luogo, non rileva la circostanza che la stabile organizzazione italiana, siccome dipendente dalla struttura principale avente sede in Francia, non debba dotarsi di “fondo di dotazione”, ossia non debba rispettare i criteri della Banca d’Italia, in quanto trattasi di rilievo amministrativo e non fiscale.
In secondo luogo, rilevano sia l’articolo sette contro le doppie imposizioni tra Italia e Francia sia le direttive Ocse in base alle quali, al fine di evitare frodi fiscali, va sottoposta a tassazione, nel paese in cui è situata la stabile organizzazione, la parte di reddito prodotto dalla stabile organizzazione come se svolgesse l’attività in maniera del tutto analoga ed in piena indipendenza dall’impresa “madre”. Ed è proprio per tale motivo che l’ufficio, basandosi sui parametri della Banca d’Italia, ha voluto determinare “figurativamente” tale fondo di dotazione, al fine di sottoporre a tassazione la parte di utili prodotti in Italia dalla stabile organizzazione. E poiché dall’applicazione di detti parametri il fondo di dotazione è risultato insufficiente, ne deriva che in realtà la stabile organizzazione non avrebbe potuto operare senza il finanziamento, in realtà qualificabile come patrimonio netto, improduttiva di interessi, della casa Madre, con la conseguenza che tali interessi sono in realtà utili sottratti ad imposizione in Italia e quindi indeducibili. A livello di sanzioni. La complessità della materia è comunque riconosciuta dalla stessa Amministrazione, che non applica le sanzioni amministrative. A livello temporale. Tuttavia vanno ripresi a tassazione solamente quegli interessi accertati entro i termini ordinari di decadenza (nel caso di specie, l’Amministrazione tramite dieci accertamenti emessi nel 2014 e 2015 ricupera a tassazione gli anni d’imposta dal 2006 al 2010) dato che l’Amministrazione non può avvalersi del raddoppio dei termini tramite cui pretende di recuperare gli anni oramai decaduti (nel caso di specie, gli anni dal 2006 al 2008), perché gli interessi dedotti non rappresentano componenti negativi fittizi”, bensì componenti negativi effettivi.
Ctp Milano, sentenza 4496/19/2017

Bollo sulle fatture virtuali in regime di esenzione per le prestazioni interprofessionali
L’imposta di bollo dovuta per le fatture in esenzione di Iva (nel caso di specie, per gli acquisti effettuati dall’odontoiatra “in nero” di protesi dentarie che l’odontoiatra dal laboratorio dell’odontotecnico) va assolta anche se tali fatture non sono state emesse, ma la cui esistenza “virtuale” è stata dimostrata dall’Amministrazione a seguito della verifica svolta presso il medico dentista. Questo perché l’assolvimento della relativa imposta non dipende dalla materiale emissione delle fatture, così che è erroneo pensare che all’omessa emissione della fattura consegua anche l’omesso pagamento della relativa imposta di bollo.
Nel caso esaminato, a seguito di una verifica svolta presso uno studio odontoiatrico, soggetto cliente del contribuente, viene rinvenuta una “contabilità parallela”, in particolare un file in cui figuravano gli acquisti di protesi dentarie rifornite dal laboratorio odontotecnico, il quale non aveva, ovviamente, emesso le corrispondenti fatture attive. L’amministrazione dimostrava inoltre l’esistenza di tali acquisti con la dichiarazione rilasciata dal dipendente dello Studio durante le operazioni di verifiche, che confermava la fornitura delle protesi, dichiarazione questa poi non contestata dall’odontotecnico).
Ctp Treviso, sentenza 345/2/2017

Il pagamento del debitore in solido in corso di giudizio libera gli altri coobbligati
L’Amministrazione, rimasta soccombente in primo grado perché la mancata costituzione in giudizio ha portato la Ctp a ritenere l’acquiescenza a non resistere al ricorso introduttivo, può sempre proporre ricorso in appello per la riforma della sentenza ad essa sfavorevole, ma solo se c’è l’interesse all’azione, che va valutato al momento dell’impugnazione. Tale interesse non esiste più se nel corso del giudizio c’è stato l’assolvimento dell’imposta da parte di altri condebitori “estranei” al processo tributario, perché tale pagamento ha liberato tutti gli altri coobbligati. Infatti, da un lato l’Amministrazione, in tema di imposta di registro, può pretendere il pagamento dell’imposta indistintamente da ciascuna delle parti responsabili in solido (nel caso di specie, la registrazione di una sentenza concernente diritti reali ha portato l’Amministrazione a liquidare e richiedere a quindici soggetti coobbligati la relativa imposta, dei quali solamente nove soggetti hanno proposto ricorso introduttivo congiunto). Dall’altro lato, l’assolvimento dell’imposta (nel caso di specie, 88mila euro circa pagati nel novembre 2013, cioè prima circa due anni e mezzo prima del deposito della sentenza della Ctp avvenuta nell’aprile 2016) da parte di tre coobbligati (che tra l’altro non avevano partecipato al giudizio di primo grado), rende priva d’interesse l’azione dell’Amministrazione nel proporre l’appello per la riforma della sentenza sfavorevole di primo grado. Ciò in conformità a quanto disposto dall’articolo 1292 del Codice civile, secondo cui il debitore, che paga l’intera prestazione nei confronti del creditore, libera gli altri “coobbligati”, e può al limite richiedere pro-quota la restituzione di quanto pagato.
Ctr Lazio, sentenza 2498/1/2017

Senza costruzione statale cessione con registro proporzionale
L’agevolazione tributaria per l’edilizia residenziale pubblica, consistente nel pagamento dell’imposta di registro in misura fissa disposta all’articolo 32 del Dpr 601/73, spetta se coesistono sia il requisito soggettivo sia il requisito oggettivo previsto dalla normativa di riferimento (titolo IV della legge 865/71: «Programmi e coordinamento per l’edilizia residenziale pubblica»). Circa il requisito soggettivo, il fabbricato oggetto di cessione deve essere stato costruito da enti pubblici, ossia da enti aventi partecipazione statale maggioritaria. Di conseguenza, trattandosi di un numerus clausus, non può essere compresa la srl “privata” tra i soggetti che possono realizzare l’immobile. Al contrario, è esclusa dall’agevolazione la cessione di quel fabbricato costruito in base ad una convenzione edilizia tra impresa privata e Comune, dato che l’articolo 42 del Dpr 601/73 ha abrogato la disposizione (articolo 70 della legge 865/71), che estendeva l’agevolazione di cui all’articolo 32 alle opere realizzate in base a specifiche leggi emanate dalle regioni a statuto speciale (nel caso esaminato, la Regione Sicilia). Circa il requisito oggettivo, la realizzazione dell’immobile oggetto di cessione deve essere stata fatta in attuazione dei programmi di edilizia residenziale, previsti dal Titolo IV della legge 865/1971. Pertanto è legittimo l’accertamento tramite cui l’Amministrazione ricupera le maggiori imposte di registro da applicarsi in misura proporzionale nel caso di cessione di fabbricato realizzato da una Srl in base ad una convenzione con il Comune.
Ctr Sicilia, sezione staccata di Caltanissetta, sentenza 2139/7/2017

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