Fondo svalutazione crediti: tassata solo l'eccedenza effettivamente dedotta
Per verificare se il fondo svalutazione crediti è fiscalmente eccedente la soglia massima stabilita, si deve avere riguardo alle svalutazioni dedotte e non a quelle civilistiche.
Con risoluzione dell'agenzia delle Entrate 65/E dell'8 giugno scorso, viene ricordato che al fine di verificare, come prescritto dalle norme fiscali, se il fondo svalutazione crediti eccede il 5 per cento del valore nominale dei crediti stessi, iscritti in bilancio alla fine dell'esercizio, si deve fare riferimento alle svalutazioni dedotte fiscalmente e non invece a quelle civili stanziate in bilancio.
In altre parole, dato un fondo svalutazione crediti civile di 100, nel momento in cui esso eccede il 5 per cento dei crediti, limite stabilito dall'articolo 106 del Tuir, si deve riscontrare quante sono le svalutazioni, che hanno concorso a formare il fondo, effettivamente dedotte.
Così se, per esempio, di tale fondo civile di 100 fosse stato dedotto solo 80 e il 5 per cento dei crediti di fine esercizio ammontasse a 70, dovrà essere recuperato a tassazione solo 10 (80-70), attraverso una variazione in aumento in sede dichiarativa, visto che solo tale importo è quello che eccede il fondo svalutazione crediti dedotto.
Inoltre, concorre a formare il reddito di esercizio solo la parte di accantonamento effettuata nell'esercizio che eccede la quota del 5% di cui si è detto, e non invece tutti gli accantonamenti effettuati nell'esercizio.
L'Agenzia torna sulla questione alla luce della sentenza n. 13458 del luglio 2015, attraverso la quale la Corte di Cassazione, come riporta la stessa risoluzione 65/E, «parrebbe abbia accolto l'interpretazione dei verificatori, secondo cui l'importo limite del 5% deve essere raffrontato con l'ammontare complessivo delle svalutazioni e degli accantonamenti, comprendente tutti gli accantonamenti (civilistici) al fondo svalutazione crediti e non solo l'ammontare dedotto».
La risoluzione in commento, però, e per la verità in modo non molto chiaro, afferma che tale sentenza, ancorché abbia accolto il ricorso presentato dalla stessa agenzia delle Entrate, non risulta stabilire espressamente un principio di diritto diverso, rispetto all'interpretazione sopra evidenziata e fornita dalla stessa Agenzia, non essendo rinvenibile nell'attuale contesto «un orientamento giurisprudenziale consolidato in contrasto con le conclusioni sopra evidenziate dalla scrivente».
Il problema a monte nasce, naturalmente, dal fatto che, da un punto di vista civilistico, in tema di crediti iscritti in bilancio alla fine dell'esercizio, in base a quanto disposto dal principio della prudenza, essi devono essere valutati, come stabilito dal n. 8) del primo comma dell'articolo 2426 c.c., al presumibile valore di realizzo. Fiscalmente, invece, il primo comma dell'articolo 106 del Tuir, prevede che, per quanto concerne le svalutazioni dei crediti «risultanti in bilancio», esse sono deducibili nei limiti stabiliti dalla disposizione stessa, ossia dello 0,5% del valore nominale o di acquisizione dei crediti stessi per ogni esercizio, fino al limite massimo del 5% del valore nominale dei crediti esistenti a fine esercizio.
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