Imposte

Fotovoltaico, bivio tra giudizi e restituzione degli incentivi

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di Giorgio Gavelli

Prosecuzione del contenzioso (con il rischio di perdere la tariffa incentivante) o restituzione integrale entro il prossimo 30 giugno di tutto il beneficio fiscale maturato, senza applicazione di sanzioni o interessi ma con rinuncia ai giudizi pendenti. È questo il bivio che l’articolo 36 del Dl 124/2019 prospetta alle imprese che hanno fruito della «Tremonti ambiente» (articolo 6, commi da 13 a 19, della legge 388/2000) cumulandola con gli incentivi alla produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici relativamente al III, IV e V Conto energia. Si tratta di una disposizione assai singolare: al comma 3 viene richiamato un «divieto di cumulo» – quello tra incentivi alla produzione di energia elettrica da impianti fotovoltaici e detassazione per investimenti ambientali realizzati dalle Pmi – che la norma sembra dare per scontato, nonostante sino ad oggi tale interpretazione abbia destato più di un problema giuridico. Ricordiamo che l’articolo 9 del Dm 19 febbraio 2007 prevedeva che le tariffe incentivanti «non sono applicabili all’elettricità prodotta da impianti fotovoltaici per la cui realizzazione siano o siano stati concessi incentivi pubblici di natura nazionale, regionale, locale o comunitaria in conto capitale e/o in conto interessi con capitalizzazione anticipata, eccedenti il 20% del costo dell’investimento».

Con una disposizione interpretativa, l’articolo 9 del decreto 5 luglio 2012 ha stabilito che la citata previsione va intesa «nel senso che il limite di cumulabilità ivi previsto si applica anche alla detassazione per investimenti» nota come «Tremonti-ambiente». Secondo il Gse i decreti ministeriali del III (Dn 6 agosto 2010), IV (Dm 5 maggio 2011) e V Conto energia (Dm 5 luglio 2012), non prevedendo esplicitamente la cumulabilità con l’agevolazione fiscale in esame, di fatto ne sanciscono il divieto integrale di cumulo con le tariffe incentivanti. Si tratta, quindi, di una interpretazione di un divieto non previsto per legge (ma solo da documenti informali, quali il comunicato Gse del 22 novembre 2017) e che non è stata accolta, ad esempio, dal Tar del Lazio (sentenze nn. 6784 e 6785 pubblicate il 29 maggio scorso) e da diverse Commissioni tributarie (per un excursus dei momenti salienti di questa telenovela si rinvia al Sole 24 Ore del 26 agosto scorso). Forse per questo, l’articolo 36 del Dl 124/2019 non prevede un obbligo alla restituzione dell’agevolazione fiscale fruita, ma, più semplicemente, una facoltà, precisando, al comma 6 (non presente nelle bozze circolate nei giorni precedenti alla definitiva approvazione) che «resta ferma la facoltà di agire in giudizio a tutela dei propri diritti per coloro che non ritengono di avvalersi della facoltà di cui al presente articolo».

Per chi vorrà, invece, aderire alla definizione, il mantenimento del diritto a beneficiare delle tariffe incentivanti è subordinato al pagamento di una somma determinata applicando alla variazione in diminuzione a suo tempo effettuata in dichiarazione e relativa alla detassazione ambientale l’aliquota d’imposta (Ires o Irpef) di tempo in tempo vigente. Entro il prossimo 30 giugno le imprese interessate, oltre al predetto versamento, devono presentare una comunicazione di definizione (su modello che verrà predisposto dalle Entrate) indicando l’eventuale pendenza di giudizi e assumendo l’impegno a rinunciarvi. Nelle more del pagamento – ma dietro presentazione della comunicazione, che in tal caso andrebbe quindi anticipata – l’eventuale giudizio verrà sospeso dal giudice tributario. Se la definizione non viene perfezionata con il versamento delle somme dovute, il giudice revoca la sospensione su istanza delle parti, altrimenti dispone l’estinzione del giudizio.

Restano le perplessità sulle modalità con cui, negli anni, è stata gestita questa vicenda e sul recupero stimato dalla relazione tecnica al decreto legge (si veda il Sole 24 Ore del 18 ottobre scorso).

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