Fusioni, non sono elusivi i versamenti per ripianare le perdite della società
I versamenti soci effettuati nei 24 mesi precedenti e determinati dall’obbligo civilistico di ripianare le perdite superiori al terzo del capitale sociale – ai sensi degli articoli 2446 e 2447 del Codice civile – non sono riconducibili all’intento elusivo di incrementare artificiosamente il patrimonio di una società oggetto di fusione, al fine di incrementare le perdite (nonché le eccedenze di interessi passivi e di Ace) utilizzabili in compensazione.
L’importante affermazione è contenuta nella risposta delle Entrate all’ interpello n. 109 , pubblicata ieri, relativa alla disapplicazione delle limitazioni contenute nell’articolo 172, comma 7, del Tuir, in materia di riporto delle posizioni soggettive, nell’ambito di un’operazione di fusione tra tre società appartenenti a un gruppo multinazionale. La risposta fornisce una serie di indicazioni operative sui requisiti necessari per la disapplicazione della disciplina antielusiva. In base all’articolo 172, comma 7, del Tuir, in caso di fusione le perdite fiscali delle società partecipanti all’operazione possono essere portate in diminuzione del reddito della società incorporante:
per la parte del loro ammontare che non eccede quello del patrimonio netto della società che riporta le perdite, quale risulta dall’ultimo bilancio (o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale di fusione), senza tener conto dei versamenti fatti negli ultimi ventiquattro mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa;
sempre che dal conto economico della società che riporta le perdite, relativo all’esercizio precedente a quello della fusione, sia rispettato il cosiddetto test di vitalità, ovvero risulti un ammontare di ricavi caratteristici e di spese per prestazioni di lavoro, superiore al 40 per cento di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.
Le medesime limitazioni sono poi applicabili anche alle eccedenze di interessi indeducibili e alle eccedenze di Ace.
La ratio di tali limitazioni è di contrastare il commercio di “bare fiscali”, mediante la realizzazione di fusioni con società prive di capacità produttiva poste in essere al solo fine di attuare la compensazione intersoggettiva delle perdite fiscali (ed altre posizioni soggettive) di una società con gli utili imponibili dell’altra. Trattandosi di una norma con finalità antielusive, ne è consentita la disapplicazione, dimostrando che la fusione non rappresenta l’epilogo di una manovra elusiva finalizzata all’indebito utilizzo di perdite, interessi passivi ed eccedenze di Ace.
Nel caso specifico, due delle società coinvolte nella fusione rispettavano il test di vitalità, ma non il limite del patrimonio netto. Ciononostante le Entrate hanno riconosciuto la possibilità di riportare le posizioni soggettive post-fusione. A tal fine, oltre a riconoscere che i conferimenti effettati per ripianare il capitale (in presenza delle condizioni degli articoli 2446 e 2447 del Codice civile) non possono avere finalità elusiva, è stata valorizzata la circostanza che le perdite subite erano conseguenza di eventi di natura eccezionale, che le società avevano un organico rilevante, che l’estinzione dei finanziamenti (in conseguenza dei versamenti dei soci) aveva contribuito al miglioramento dei risultati economici e che la società risultante dalla fusione avrebbe continuato a esercitare l’attività caratteristica delle società fuse.
Agenzia delle Entrate, risposta 109/2018 a interpello