I temi di NT+Modulo 24

Fusioni, riporto in avanti delle eccedenze Ace vincolato alla vitalità economica

Superato l’activity test va verificato il limite del patrimonio netto della società di cui si riportano le eccedenze risultante dall’ultimo bilancio o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale

L’aiuto alla crescita economica (Ace) è stato introdotto dall’articolo 1 del Dl 201/2011 con l’obiettivo di incentivare la patrimonializzazione delle imprese mediante la detassazione del reddito imponibile. L’agevolazione in commento, dopo essere stata temporaneamente abrogata per l’esercizio 2019 dall’articolo 1, comma 1080 della legge 145/2018, è stata poi “reintrodotta” ad opera dell’articolo 1, comma 287, lettera a) della legge 160/2019 (con decorrenza dal 2019 medesimo).
Il decreto attuativo delle disposizioni in materia di Ace è il Dm 3 agosto 2017, che, con decorrenza dal 26 agosto 2017 ha abrogato il previgente Dm 14 marzo 2012.

Ai fini che qui interessano occorre preliminarmente evidenziare che, né la legge istitutiva, né il decreto attuativo (prima il Dm 14 marzo 2012, poi il Dm 3 agosto 2017), hanno disciplinato gli effetti dell’Ace in presenza di operazioni di riorganizzazione aziendale.
Al riguardo, già nella relazione illustrativa al primo decreto attuativo (Dm 14 marzo 2012) il legislatore precisava quanto segue: «non si è ritenuto di prevedere alcuna disposizione specifica concernente i riflessi dell’Ace in caso di operazioni straordinarie in quanto trovano applicazione, tendenzialmente, i principi generali che connotano tali operazioni».
Nulla è stato indicato, invece, nella relazione illustrativa al Dm 3 agosto 2017.

Pertanto, in presenza di operazioni straordinarie, per quanto riguarda la disciplina Ace, occorre fare riferimento alle norme tributarie specifiche che disciplinano la singola operazione straordinaria (fusione, scissione, conferimento, trasformazione, ecc), oltre che alla copiosa produzione di prassi ministeriale (circolari, risoluzioni, principi di diritto, risposte ad interpelli, ecc) che l’amministrazione finanziaria ha pubblicato nel corso degli anni.
Sul punto, è utile richiamare la circolare 12/E/2014, con cui l’agenzia delle Entrate ha specificato che, ai fini Ace, valgono i chiarimenti in tema di dual income tax (Dit) in merito alle fattispecie che risultano assimilabili per le diverse discipline di riferimento (fusione, scissione, ecc.).
Il legislatore tributario ha invece affrontato, in materia di gruppi d’impresa, i rapporti tra l’agevolazione Ace ed il regime di tassazione di gruppo ex articolo 117 e ss. del Tuir ed, altresì, codificato le disposizioni antiabuso in presenza di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo, concetto, quest’ultimo, mutuato dall’ordinamento civilistico.

Si evidenzia, infine, per completezza informativa, che è stato introdotto dall’articolo 19, commi da 2 a 7, del Dl 73/2021, un coefficiente maggiorato del 15% (rispetto a quello a regime dell’1,3%), applicabile, nei limiti di una ricapitalizzazione di 5 milioni di euro, agli incrementi netti di capitale proprio realizzati nel solo esercizio 2021, ai fini del calcolo della deduzione Ace prevista all’articolo 1 del Dl n. 201/2011 (cosiddetta Super Ace).

Disciplina Ace nelle operazioni di fusione

L’operazione di fusione non comporta, in linea generale, per le società partecipanti, alcuna variazione rilevante ai fini Ace, né in aumento, né in diminuzione. Questo principalmente per due ordini di motivi: il primo attiene alla natura non realizzativa bensì successoria dell’operazione, mentre il secondo riguarda la circostanza che l’incremento patrimoniale che potrebbe generarsi in capo alla società avente causa per effetto della compenetrazione dei patrimoni delle società partecipanti, sarebbe riconducibile ad un incremento patrimoniale in natura (fattispecie esclusa dalle operazioni rilevanti ai fini Ace).

L’articolo 172, comma 4 del Dpr 917/1986, quale principio generale “successorio” nelle fusioni, prevede che «dalla data in cui ha effetto la fusione la società risultante dalla fusione o incorporante subentra negli obblighi e nei diritti delle società fuse o incorporate relativi alle imposte sui redditi, salvo quanto stabilito nei commi 5 e 7».

Per effetto di tale principio, la società risultante dalla fusione o incorporante, a partire dalla data di efficacia giuridica dell’operazione:
a) acquisisce le variazioni di capitale proprio rilevanti ai fini Ace (sia di segno positivo che negativo) di pertinenza delle società fuse o incorporate, variazioni che contribuiscono a determinare, post fusione, l’incremento del capitale proprio rilevante Ace della società avente causa;
b) acquisisce le eccedenze Ace non utilizzate dalle società fuse o incorporate per incapienza dei relativi redditi imponibili.

In tema di subentro nelle «variazioni Ace» delle società danti causa, è utile ricordare l’interpretazione fornita dall’agenzia delle Entrate con risposta a interpello 98 del 2018 avente ad oggetto l’agevolazione Ace in caso di fusione inversa.
L’Agenzia, in tale occasione, ha precisato che «in materia Ace può farsi riferimento, in quanto compatibili, alle indicazioni a suo tempo fornite dalla prassi ministeriale in vigenza della Dual income tax (Dit), in considerazione delle analogie riscontrabili nelle due agevolazioni (cfr. circolare del 23 maggio 2014, n. 12/E). In particolare, con riferimento all’applicazione della Dit alle ipotesi di fusione, si ricorda che la società risultante dalla fusione o quella incorporante, può, a partire dalla data in cui ha effetto la fusione, determinare l’incremento del proprio capitale investito assumendo anche la variazione in aumento del capitale investito delle società fuse o incorporate (cfr. risoluzione n. 147/E del 16 maggio 2002 e circolare n. 76/E del 6 marzo 1998.
In merito alla definizione del quantum “ereditato” di variazioni di capitale proprio rilevanti Ace, richiamando l’articolo 172, comma 4 del Tuir, l’Amministrazione ha, altresì, affermato che «il subentro riguarderà non solo le variazioni di capitale proprio di segno positivo, ma anche le variazioni di segno negativo, con la conseguenza che si dovrà assumere post fusione la somma algebrica delle variazioni prima facenti capo alle società coinvolte nell’operazione (cfr. circolare n. 76/E del 6 marzo 1998). […] la scrivente rileva che, come precisato dai documenti di prassi citati, in sede di fusione si verifica una compenetrazione delle basi Ace (positive e negative) dei soggetti che vi hanno preso parte, con la conseguenza che si dovrà assumere post fusione la somma algebrica delle variazioni prima facenti capo alle società coinvolte nell’operazione. Il predetto è un effetto naturale dell’operazione di fusione che, viceversa, non si sarebbe verificato in assenza della stessa, dal momento che la vigente disciplina normativa in materia di Ace consente a livello sistematico di mantenere separate le basi Ace negative di un soggetto e quelle positive di un altro soggetto, pur se appartenenti al medesimo gruppo di imprese».

Aspetto di particolare rilievo nelle fusioni è rappresentato dal fatto che, mentre non si ravvisano particolari limitazioni al “subentro” nelle variazioni di capitale proprio rilevanti ai fini Ace (sia di segno positivo che negativo) di pertinenza delle società fuse o incorporate, lo stesso non può dirsi in tema di riporto delle eccedenze Ace non utilizzate dalle società danti causa.

Infatti, a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016 (esercizio 2017 per i soggetti “solari”), in virtù di quanto previsto dall’articolo 1, comma 549, lettera c) della legge 232/2016, nelle operazioni di fusione le medesime limitazioni previste per il riporto delle perdite fiscali e dell’eccedenza di interessi passivi indeducibili, sono applicabili anche alle eccedenze di rendimento nozionale derivanti dall’applicazione dell’agevolazione Ace (ex articolo 1, comma 4 del Dl 201/2011).

Si evidenzia, per completezza informativa, che l’articolo 1, comma 549, lettera c) della legge 232/2016 (modificativo dell’articolo 172, comma 7 Tuir) è stato successivamente abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2019 dall’articolo 1, comma 1080, legge 145/2018 (che aveva temporaneamente cancellato l’Ace per l’anno 2019); la legge di bilancio 2020 – articolo 1, comma 287, lettera a), legge 160/2019 – ha “ricreato” il sistema previgente, reintroducendo l’agevolazione Ace (e con essa la modifica all’articolo 172, comma 7 del Tuir) già per l’anno 2019, non creando quindi alcuna interruzione da un anno all’altro.

In tema di limitazioni al riporto delle eccedenze Ace, l’articolo 172, comma 7 del Tuir prevede che «le disposizioni del presente comma si applicano anche agli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti di cui al comma 5 dell’articolo 96 del presente testo unico, nonché all’eccedenza relativa all’aiuto alla crescita economica di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214».

Pertanto, ai sensi della norma di cui sopra, non possono essere riportate, oltre alle perdite fiscali e alle eccedenze di interessi passivi non deducibili, anche le eccedenze di Ace maturate ante fusione in capo a società che:

a) non possiedono determinati indici di vitalità economica riferiti a specifiche voci del conto economico («activity test»);

b) non possiedono un patrimonio netto sufficiente a consentire il riporto delle perdite e delle eccedenze di interessi e Ace;

c) abbiano svalutato, con rilevanza fiscale, la partecipazione nella società della quale si vogliono riportare le perdite.

Per quanto riguarda la condizione c) sopra indicata, l’agenzia delle Entrate (cfr. circolare 19/02/2008 n. 12 (paragrafo 5.1)) ha chiarito che in relazione alle eccedenze di interessi passivi indeducibili ex articolo 96 Tuir non può verificarsi questa duplicazione di effetti “negativi”, poiché «in vigenza della norma che consentiva la svalutazione delle partecipazioni non era consentito il riporto in avanti degli eventuali interessi passivi indeducibili».
Per analoghe motivazioni, appare ragionevole mutuare tali conclusioni anche per quanto riguarda le eccedenze Ace Di fatto, quindi, il test per il riporto delle eccedenze Ace si limiterebbe al superamento delle condizioni a) e b) sopra indicate (activity test e PN).

Activity test
Il diritto di riportare in avanti le eccedenze di Ace (oltre alle perdite fiscali ed alle eccedenze di interessi passivi, a riduzione del reddito della società avente causa), sia in capo alle società fuse o incorporate, sia in capo alla società incorporante o risultante dalla fusione, è ammesso a condizione che la società che le ha originate integri determinate condizioni di vitalità economica (activity test). Le eccedenze Ace maturate ante fusione da parte delle società coinvolte nell’operazione, sono, quindi, riportabili nei periodi di imposta successivi a quello di efficacia giuridica della fusione, qualora il conto economico delle società che hanno generato tali eccedenze, relativo al bilancio dell’esercizio precedente a quello in cui è stata deliberata l’operazione, evidenzi un ammontare di ricavi e proventi caratteristici e di spese per prestazioni di lavoro subordinato e relativi contributi, superiore al 40% della media degli stessi parametri risultanti dai bilanci dei due esercizi precedenti a quello di delibera dell’operazione medesima.

In tema di activity test, si ricorda la risoluzione 143/E/2008 riguardante le holding di partecipazione di gruppi industriali e commerciali. Per esse, infatti, la macroclasse C del conto economico «Proventi e oneri finanziari» costituisce il core business; in tal caso, l’amministrazione finanziaria con il citato documento di prassi, ha chiarito che, in considerazione del riferimento all’articolo 172, comma 7 del Dpr n. 917/1986, tra i ricavi e i proventi rilevanti ai fini del test di vitalità devono essere considerati, oltre a quelli iscritti nelle voci A.1 e A.5, anche quelli di natura finanziaria iscritti nelle voci C.15 e C.16 del conto economico medesimo.

In tema di «vitalità economica» ante fusione, si evidenzia che l’agenzia delle Entrate (cfr. risposta a interpello n. 333 del 08/08/2019, circolare 30/03/2016 n. 6 (paragrafo 2.2), circolare 09/03/2010 n. 9 (paragrafo 2.1), risoluzione 10/04/2008 n. 143 e risoluzione 24/10/2006 n. 116), interpretando la disposizione in commento in modo da non depotenziarne l’effetto antielusivo, ha ritenuto che essa «deve essere interpretata nel senso che i requisiti minimi di vitalità economica debbano sussistere non solo nel periodo precedente alla fusione, così come si ricava dal dato letterale, bensì debbano continuare a permanere fino al momento in cui la fusione viene attuata». In caso di retrodatazione degli effetti contabili e fiscali della fusione ex articolo 172, comma 9 del Tuir, le limitazioni previste dall’articolo 172, comma 7 del Tuir medesimo devono essere applicate anche al risultato negativo «determinabile applicando le regole ordinarie, che si sarebbe generato in modo autonomo in capo ai soggetti che partecipano alla fusione in relazione al periodo che intercorre tra l’inizio del periodo d’imposta e la data antecedente a quella di efficacia giuridica della fusione» (periodo interinale ante fusione).

Attraverso recenti interpretazioni (tra le altre, principio di diritto n. 6 del 16/10/2018, risposte a interpello nn. 93 del 05/12/2018, 94 del 05/12/2018, 109 del 17/12/2018, 03 del 10/01/2019, 52 del 13/02/2019, 416 del 15/10/2019, 527 del 13/12/2019, 529 del 16/12/2019, 88 del 06/03/2020, 101 del 03/04/2020, 828 del 17/12/2021) l’agenzia delle Entrate ha riconosciuto la possibilità di disapplicare le sopra indicate limitazioni imposte dalla norma in presenza di società considerate sostanzialmente “vitali” e, comunque, previa dimostrazione dei motivi e delle circostanze oggettive che non hanno permesso alle medesime di superare l’activity test.

Limite del patrimonio netto contabile
Una volta superato l’activity test (condizione essenziale), l’articolo 172, comma 7 del Tuir pone, in capo alle società partecipanti all’operazione, un’ulteriore limitazione al riporto delle eccedenze Ace (stesso discorso vale per le eccedenze di interessi passivi e per le perdite fiscali). Tali eccedenze possono essere, infatti, riportate dalla società risultante o incorporante, nei periodi di imposta post fusione, solo nel limite dell’ammontare del patrimonio netto della società di cui si riportano le eccedenze Ace medesime (unitamente, come vedremo più avanti, alle eccedenze di interessi passivi indeducibili e alle perdite fiscali), quale risultante dall’ultimo bilancio d’esercizio della società medesima o, se inferiore, dalla situazione patrimoniale eventualmente redatta ex articolo 2501-quater del Codice civile. Per espressa previsione normativa, l’importo del patrimonio netto deve essere quantificato senza tenere conto dei conferimenti e dei versamenti fatti negli ultimi 24 mesi anteriori alla data cui si riferisce la situazione stessa.

Il termine «ultimo bilancio» contenuto nell’articolo 172, comma 7 del Tuir deve essere inteso, secondo l’amministrazione finanziaria (cfr. risoluzione 54/2011), facendo riferimento al «bilancio relativo all’ultimo esercizio chiuso prima della data di efficacia giuridica della fusione», ancorché non approvato a tale data.

In caso di retrodatazione degli effetti contabili e fiscali dell’operazione all’inizio dell’esercizio, l’ultimo bilancio per la società che detiene le eccedenze di Ace (come anche le perdite fiscali e/o le eccedenze di interessi passivi indeducibili) è il bilancio relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione si è perfezionata giuridicamente.

Ulteriore elemento da tenere in debita considerazione riguarda, infine, il limite del patrimonio netto su cui confrontare i riporti “cumulativi” ex articolo 172, comma 7 del Tuir. A tal proposito, l’agenzia delle Entrate, con circolare 19/2009 (paragrafo 2.8), ha chiarito che il limite del patrimonio netto deve essere, infatti, verificato cumulativamente, e quindi con riferimento all’importo, non solo delle perdite fiscali pregresse, ma anche a quello degli interessi passivi non deducibili. Considerato che il documento di prassi è stato pubblicato prima dell’introduzione dell’agevolazione Ace, è ragionevole pensare che nel cumulo debbano essere ricomprese anche le eccedenze di Ace.

Si evidenzia, infine, che la norma in commento, prevede, comunque, la possibilità per il contribuente di disapplicare le disposizioni del comma 7 dell’articolo 172 del Tuir mediante la presentazione ex articolo 11, comma 2 della legge 212/2000 di apposita istanza di interpello all’amministrazione finanziaria («interpelli antielusivi»).

Scissioni societarie e trattamento Ace

In linea generale, con riferimento all’Ace, l’operazione di scissione, come quella di fusione, non è un’operazione idonea a generare incrementi e/o decrementi del capitale proprio rilevanti ai fini dell’agevolazione in commento, in considerazione della natura successoria e non realizzativa dell’operazione medesima (cfr. articolo 173, comma 4 del Tuir).

In virtù dello specifico rinvio operato dall’articolo 173, comma 10 del Dpr n. 917/1986, le limitazioni viste per il riporto delle eccedenze Ace in caso di fusione, risultano applicabili anche alle operazioni di scissione.

Il comma 10 dell’articolo 173 del Tuir prevede infatti che «alle perdite fiscali, agli interessi indeducibili oggetto di riporto in avanti di cui al comma 5 dell’articolo 96 del presente testo unico, nonché all’eccedenza relativa all’aiuto alla crescita economica di cui all’articolo 1, comma 4, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, delle società che partecipano alla scissione si applicano le disposizioni del comma 7 dell’articolo 172, riferendosi alla società scissa le disposizioni riguardanti le società fuse o incorporate e alle beneficiarie quelle riguardanti la società risultante dalla fusione o incorporante […]».

Con riguardo alle operazioni di scissione, l’amministrazione finanziaria si era già espressa con circolare n. 76/E/1998 in materia Dit, sostenendo che la variazione del capitale proprio rilevante ai fini dell’agevolazione doveva intendersi ripartita (in caso di scissione parziale) tra la società scissa e le società beneficiarie in base al criterio dell’articolo 173, comma 4 del Tuir (già articolo 123-bis, comma 4), ossia in proporzione alle rispettive quote di patrimonio netto contabile trasferite alle beneficiarie o rimaste in capo alla scissa medesima (cfr. Assonime, circolare 17/2012, paragrafo 3.2.2). Sulla base degli orientamenti ministeriali e dottrinali sopra citati, si riteneva che tale criterio proporzionale conservasse una sua validità e applicabilità anche ai fini della ripartizione della base Ace e delle eccedenze Ace esistenti presso la società scissa al momento del perfezionamento giuridico dell’operazione.

Tale orientamento è stato recentemente confermato con la risposta ad interpello n. 129/2021 con la quale l’Amministrazione, nel caso di scissione parziale proporzionale, ha avallato il criterio di proporzionalità nell’attribuzione, oltre che delle perdite fiscali, anche delle eccedenze Ace della società scissa.
Su quest’ultimo punto, infatti, l’agenzia delle Entrate, partendo dall’assunto che l’Ace rappresenta una “posizione” fiscale della società scissa (per le cui regole si deve fare riferimento all’articolo 173, comma 4 del Tuir) e richiamando la circolare n. 12 del 2014 e la circolare ministeriale n. 76/E/1998, ha affermato che «anche le eccedenze Ace devono essere “ripartite” tra la società scissa e la beneficiaria proporzionalmente alle quote di patrimonio netto contabile rispettivamente rimaste nella prima e trasferite alla seconda».

Conferimenti d’azienda e riflessi Ace

Come precisato nella parte iniziale del presente documento, né la legge istitutiva, né il decreto attuativo hanno disciplinato gli effetti dell’Ace in presenza di operazioni di finanza straordinaria.

Nell’ipotesi di conferimento d’azienda, l’unico riferimento legislativo in materia Ace è contenuto nella lettera b) del comma 8 dell’articolo 5 del Dm 3 agosto 2017.
Ferma restando la neutralità fiscale dell’operazione ex articolo 176 del Dpr n. 917/1986, il legislatore tributario, nella relazione illustrativa al decreto richiamato, ha ritenuto necessario tenere in considerazione il fatto che la rappresentazione contabile del conferimento d’azienda, non essendo regolamentata da alcun principio contabile nazionale, possa avere differenti prassi circa il trattamento da riservare ai plusvalori che potrebbero emergere nel bilancio del soggetto conferente a seguito della suddetta operazione.
Al fine di garantire le medesime modalità di calcolo dell’agevolazione, a prescindere dalle regole contabili adottate, il legislatore ha ritenuto, quindi, necessario considerare «non rilevanti, ai fini dell’agevolazione Ace, gli utili derivati da tale operazione».

Ciò premesso, con riguardo al conferimento d’azienda/ramo d’azienda, a differenza delle fusioni e scissioni (operazioni queste che comportano una successione “universale” nei diritti ed obblighi), appare corretto ritenere che l’agevolazione Ace (e le eventuali eccedenze Ace), configurandosi come una posizione soggettiva del conferente destinata, in quanto tale, a rimanere presso quest’ultimo, non possa essere trasferita al soggetto conferitario. Esso, infatti, ai sensi e per gli effetti dell’articolo 176 del Dpr 917/1986, subentrerà nei valori fiscalmente riconosciuti delle componenti attive e passive del compendio aziendale conferito ma non nell’agevolazione Ace.

Sempre con riferimento al soggetto conferitario, l’apporto dell’azienda non sarebbe idoneo a determinare un incremento di capitale rilevante ai fini Ace, trattandosi di un conferimento in natura e non in denaro.

Sul punto, è intervenuta recentemente l’agenzia delle Entrate con l’interessante risposta ad interpello n. 82/2022. L’istanza aveva ad oggetto la rilevanza dei conferimenti d’azienda, nell’ambito di una riorganizzazione societaria, ai fini dell’applicazione della disciplina antielusiva ex articolo 10, comma 3, lettera b) del Dm 3 agosto 2017. L’Amministrazione, nel caso di specie, ha ritenuto non sussistenti i presupposti per l’applicazione della disposizione antielusiva di cui sopra, in quanto l’assenza di un corrispettivo in denaro farebbe venir meno il presupposto alla base della realizzazione del fenomeno “duplicativo” che la disposizione in esame vuole contrastare.

Nella medesima risposta ad interpello, l’Agenzia ha, infine, precisato che «i conferimenti di azienda/rami d’azienda operati in favore della conferitaria a fronte della corresponsione di un corrispettivo in natura non debbano comportare alcuna sterilizzazione della base Ace in capo alla società conferitaria».

Altra risposta ad interpello degna di nota è la n. 732/2021, secondo cui «al fine di garantire le medesime modalità di calcolo dell’agevolazione a prescindere dalle regole contabili adottate, il conferimento di partecipazioni descritto debba essere assimilato, in via analogica, al conferimento d’azienda di cui sopra, e che pertanto, la plusvalenza emersa non possa essere considerata rilevante ai fini della determinazione dell’incremento di capitale proprio agevolabile ai sensi dell’articolo 5, comma 2 del Nuovo decreto Ace».

Il rapporto tra l’agevolazione Ace e il regime di tassazione di gruppo

La disciplina delle eccedenze Ace nell’ambito del consolidato nazionale non si rinviene nelle disposizioni contenute nel Tuir sulla tassazione di gruppo, ma nell’articolo 6, comma 1 del Dm 3 agosto 2017. Il decreto attuativo, nell’ambito del consolidato fiscale domestico, è stato concepito in un’ottica di gruppo e non con un criterio stand alone: il legislatore si è proposto di evitare il prodursi di situazioni di croniche eccedenze Ace non utilizzate per talune società, pur in presenza di imponibili capienti di altre società del gruppo.
L’articolo 6, comma 1 del Dm 3 agosto 2017 stabilisce, infatti, che ciascuna società consolidata possa trasferire alla Fiscal unit solo l’eventuale eccedenza Ace non utilizzata direttamente a riduzione del proprio imponibile.
La norma in esame prevede che tale trasferimento alla fiscal unit possa avvenire fino a concorrenza dell’imponibile netto di gruppo e che l’eventuale eccedenza non utilizzata dal gruppo rimanga nella disponibilità della società consolidata di provenienza, con facoltà, per quest’ultima, di riportarla nei periodi di imposta successivi, utilizzandola a riduzione prioritaria del proprio imponibile e, per la parte eccedente, a riduzione dell’imponibile della fiscal unit oppure di trasformarla in credito d’imposta utilizzabile a riduzione della propria imposta Irap ex articolo 3, comma 3 dello stesso Dm attuativo.
L’articolo 6, comma 1, ultimo periodo del Dm 3 agosto 2017 precisa, inoltre, che le eccedenze Ace generatesi anteriormente all’opzione per la tassazione consolidata non sono attribuibili alla fiscal unit, e devono, pertanto, restare nella disponibilità delle singole società che le hanno prodotte.

Un altro aspetto da tenere in considerazione è quello dell’obbligatorietà del trasferimento delle eccedenze di Ace al gruppo: in merito, l’agenzia delle Entrate con circolare 12/E/2014 (paragrafo 5) ha chiarito che tale trasferimento ha natura obbligatoria, precisando che «le eccedenze non trasferite, nell’ipotesi in cui vi sia capienza a livello di gruppo, non potranno essere riportate nei periodi d’imposta successivi dalle società appartenenti al consolidato».
Tale interpretazione è stata resa con riferimento all’articolo 6 del Dm 14 marzo 2012 (ora abrogato); considerando, tuttavia, che la formulazione dell’articolo 6, comma 1 del vigente Dm 3 agosto 2017 ricalca, sostanzialmente, quella dell’articolo 6, comma 1 del previgente decreto attuativo, si ritiene che l’orientamento espresso nel 2014 dall’amministrazione finanziaria sia ancora valido.

L’esame del modello Redditi SC 2022 consente di affermare che le stesse regole risultano applicabili per le eccedenze della cosiddetta Super Ace maturate nel 2022.


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