Gli accordi scritti evitano di riqualificare le somme anticipate
Al fine di evitare che gli organi di controllo disconoscano la natura di acconto ai pagamenti effettuati in via anticipata rispetto all’effettiva esecuzione dell’operazione, è opportuno procedere alla redazione di accordi chiari, possibilmente in forma scritta.
Come riconosciuto dall’amministrazione finanziaria (con la circolare 4/1977), infatti, il regime Iva degli acconti è uguale a quello relativo all’operazione nell’ambito della quale sono previsti, in conformità agli accordi contrattuali siglati tra le parti, posto che gli acconti rappresentano «l’adempimento parziale» dell’operazione cui si riferiscono e non hanno autonoma fisionomia giuridica.
Anche secondo la Corte di Cassazione (sentenza 10606/2015), affinché l’acconto rilevi ai fini Iva occorre che tutti gli elementi qualificanti la futura operazione siano conosciuti dalle parti e che i beni o servizi siano specificamente individuati.
L’emissione della fattura, pertanto, s’impone se e quando esiste un collegamento immediato e diretto con l’operazione di cui l’acconto è parte (fatte salve le situazioni in cui tale obbligo non sussiste, come nel caso degli acconti su cessioni intra-Ue).
Solo se il pagamento anticipato (o l’emissione anticipata della fattura, sganciata dall’esecuzione di un pagamento) è riferibile a un’operazione esattamente delineata, questo legittima l’emissione di fattura con conseguente inquadramento dell’acconto in base al regime dell’operazione “che verrà”.
In presenza di accordi non chiaramente disciplinati, che non consentono di definire compiutamente l’operazione, è invece possibile che, in sede di controllo, gli uffici provino a riqualificare le somme incassate in base a un titolo diverso, per esempio come caparre o come importi ricevuti a garanzia o come depositi cauzionali, e quindi contestandone la rilevanza ai fini dell’imposta come operazioni fuori campo Iva.
Ciò potrebbe avvenire, per esempio, in presenza di una somma forfetaria versata per il futuro acquisto di beni genericamente individuati in un elenco modificabile di comune accordo fra le parti, somma che il cessionario ha deciso di pagare magari solo per assicurarsi la disponibilità di future, ma ancora incerte forniture. Oppure quando è prevista in favore dell’acquirente la facoltà di recesso unilaterale con restituzione della parte non utilizzata del versamento anticipato.
Inoltre, un’eventuale contestazione sull’irrilevanza Iva dell’anticipo (a parte le possibili ricadute sotto il profilo dell’imposta di registro), laddove riguardi una fattura non imponibile emessa per un acconto su cessioni all’esportazione o intra Ue, potrebbe avere rilevanti conseguenze in capo all’emittente, cui potrebbe essere contestata la qualifica di esportatore abituale o un indebito utilizzo del plafond alimentato con l’operazione controversa.
Infine, se la contestazione riguarda un anticipo per un’operazione imponibile, colui che ha ricevuto la fattura d’acconto (in base al nuovo articolo 6, comma 6, Dlgs 471/97) non dovrebbe invece vedersi contestata la detrazione dell’imposta, nel rispetto delle condizioni previste dalla norma e fatta salva l’applicazione della sanzione fissa.