Controlli e liti

I debiti Iva rientrano nella procedura di esdebitazione

La sentenza 18124/2022 della Cassazione ammette la ricomprensione dei debiti Iva nel procedimento di esdebitazione, consentendo quindi la falcidia dell’imposta verso lo Stato

di Matteo Dellapina

Nella sentenza del 18124/2022 la Cassazione ha seguito l’orientamento nato in seno alla Corte di giustizia (Degano Trasporti, C-546/14 & Identi, C-493/15) volto a ricomprendere l’Iva nelle procedure di esdebitazione, permettendo così la falcidia di tali debiti, proprio perché non si ravvisa alcun contrasto con la norma unionale.

Mentre in passato era negata la falcidia dell’Iva, grazie agli interventi della Cgue si è ammorbidita la linea della Cassazione che però, solo con tale pronuncia, ha riconosciuto la possibilità di comprimere il diritto alla riscossione da parte dell’Erario grazie alla particolarità della procedura di esdebitazione, improntata a rigidi criteri applicativi e operativi.

Ma anche l’intervento del giudice europeo non deve essere frainteso, ossia non ha riconosciuto un’incondizionata possibilità per gli Stati di recuperare parzialmente l’Iva, ma ha affermato che sia legittima «la rinuncia al pagamento integrale di un credito Iva, purché siffatte circostanze siano eccezionali, puntuali e limitate purché lo Stato membro non crei significative differenze nel modo in cui sono trattati i soggetti d’imposta nel loro insieme e, pertanto, non pregiudichi il principio di neutralità fiscale.

La sentenza 18124/2022 della Cassazione

La sentenza in esame è la "coda" conclusiva della vicenda Identi (C-493/15), finita sul tavolo della Corte di giustizia che ha sancito proprio il principio secondo cui la norma Ue non osta a quella nazionale che prevede una procedura di esdebitazione con cui un giudice possa, a certe condizioni, dichiarare inesigibili i debiti di una persona fisica non liquidati in esito alla procedura fallimentare a cui tale persona sia stata sottoposta.

La vicenda trae origine dall’ottenimento di un decreto di esdebitazione, da parte di una società, in base a cui la stessa veniva liberata da un complesso di debiti residui, compresi quelli di natura fiscale, verso creditori concorsuali rimasti insoddisfatti dalla liquidazione del patrimonio fallimentare. Nonostante ciò, l’amministrazione finanziaria procedeva, mediante l’agente della Riscossione, a richiedere il versamento dei tributi, ritenendo che fossero esclusi dall’alveo del beneficio.

Nel dettaglio veniva notificava una cartella di pagamento Iva e Irap al socio accomandatario della società fallita, il quale la impugnava dinnanzi alla Ctp. Il giudice di primo grado accoglieva il ricorso, affermando che tali somme non fossero dovute proprio per il motivo che la società aveva ottenuto un decreto di esdebitazione. Dello stesso parere anche la Ctr rigettava l’appello dell’Ufficio, confermando così la pronuncia di primo grado.

L’agenzia delle Entrate ricorreva per cassazione sulla scorta di quattro motivi. La Cassazione, con ordinanza 13542/2015, chiedeva alla Corte di giustizia di pronunciarsi sul seguente quesito pregiudiziale «l’articolo 4, paragrafo 3, Tue e gli articoli 2 e 22 della sesta direttiva 77/388, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alle imposte sulla cifra di affari, devono essere interpretati nel senso che essi ostano all’applicazione, in materia di imposta sul valore aggiunto, di una disposizione nazionale che prevede l’estinzione dei debiti nascenti dall’Iva in favore dei soggetti ammessi alla procedura di esdebitazione disciplinata dagli articoli 142 e 143 del Rd 267/1942».

Dopo la pronuncia della Corte di giustizia (Identi, C-493/15), il giudice di legittimità ha respinto il ricorso del Fisco, ritenendo che l’esdebitazione del fallito sia applicabile anche ai debiti Iva in quanto la norma nazionale non risulta in contrasto con la sesta direttiva Iva 77/388/CE.

Gli orientamenti precedenti di legittimità

In passato la Cassazione (13542/2015), con particolare attenzione alla procedura di esdebitazione, aveva sottolineato che il legislatore, nel disciplinare in modo specifico alcune tassative esclusioni dal beneficio liberatorio dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti, senza menzionare in alcun modo i crediti tributari, aveva ritenuto, nell’ambito delle scelte discrezionali a esso riservate e sulla base di un bilanciamento dei contrapposti interessi, che, il soggetto individuato dall’Autorità giudiziaria meritevole del beneficio dell’esdebitazione, non deve farsi carico del pagamento dei debiti fiscali, in una prospettiva dell’estinzione dei propri debiti quale stimolo a condotte incentivanti a un ripristino di una soggettività economica ritenuta socialmente utile.

Passando poi all’Iva, l’orientamento formatosi in precedenza era volto a preservare l’intangibilità del debito, escludendo così la falcidia sul capitale, risultando appunto un’eccezione alla regola generale prevista dall’articolo 160, comma 2, L.F., della falcidiabilità dei crediti privilegiati, compresi quelli relativi ai tributi costituenti risorse proprie dell’Ue (Cassazione 6922/2019).

La giurisprudenza unionale

In ambito unionale l’intervento della Corte di Giustizia è stato fondamentale per ottenere il tanto desiderato cambio di rotta. Infatti prima con la decisione del caso Degano Trasporti (C-546/14) era stato ritenuto ammissibile il pagamento parziale di un debito Iva da parte di un imprenditore che si trovasse in stato di insolvenza, a condizione che ciò emergesse da una procedura di concordato preventivo, ove un esperto indipendente attestasse che tale debito non avrebbe ricevuto un miglior trattamento in caso di fallimento.

Quindi la falcidia del credito tributario, ossia dell’Iva, risulterebbe compatibile con il diritto Ue. Successivamente, il caso Identi (C-493/15, sentenza del 16 marzo 2017) è risultato in perfetta simbiosi con il precedente reso nel giudizio Degano Trasporti (C-546/14). La Cgue ha ricordato come nel quadro delle disposizioni della legge fallimentare che disciplinano l’esdebitazione, le persone cui il beneficio di tale procedura non sia concesso o perché non rientrano nell’ambito applicativo di tale procedura o perché non siano soddisfatti i requisiti previsti dall’articolo 142 della legge fallimentare, non si trovano in una situazione fattuale e giuridica analoga a quella delle persone cui detto beneficio sia concesso, tenuto conto dell’obiettivo perseguito da tali disposizioni che è quello di consentire a una persona fisica dichiarata fallita, debitrice in buona fede, di riprendere un’attività imprenditoriale venendo liberata dai debiti non liquidati in esito alla procedura concorsuale cui tale persona sia stata sottoposta.

Così, la decisione del caso Identi, la Cgue ha ritenuto che la dichiarazione di inesigibilità di un debito Iva di una persona fisica, in applicazione di una norma nazionale, effettuata da un giudice in seguito a una procedura di esdebitazione, non è in contrasto con la normativa Ue.

La scelta della Suprema corte

In conclusione, la Cassazione ammette quindi la ricomprensione dei debiti Iva all’interno del procedimento di esdebitazione, consentendo quindi la falcidia di tale imposta verso lo Stato.

Qui però occorre sottolineare come l’apertura, prima della Corte di Giustizia e poi della Cassazione alla possibilità di inglobare il debito Iva nell’esdebitazione, sia quella, da un lato di garantire lo Stato, il quale se attendesse l’avvio di un’altra procedura nei confronti del contribuente rischierebbe di percepire un minor gettito. Dall’altro lato si vuole preservare anche la posizione del debitore, proprio perché l’esdebitazione risponde alla rilevante esigenza, avvertita in misura crescente in ambito unionale, di consentire proprio a costui, svincolato da debiti pregressi (c.d. discharge), di ripartire e riproporsi nella società (c.d. fresh restart), senza dover scontare per tutta la vita una limitazione assai gravosa e insormontabile nel reinserimento all’interno del circuito sociale ed economico in ragione dei debiti rimasti insoluti.

È da segnalare infine che un timido segnale di apertura era giunto anche dall’Amministrazione, con la circolare 16 del 23 luglio 2018 ove era stato proprio "assimilato" l’indirizzo della giurisprudenza Ue (paragrafo 3).

Questo articolo fa parte del Modulo24 Iva del Gruppo 24 Ore.

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