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Il blocco dei licenziamenti vale anche per i dirigenti

Anche loro vanno tutelati dalle conseguenze economiche della pandemia

di Angelo Zambelli

Con un’ordinanza del 26 febbraio, il Tribunale di Roma ha ordinato la reintegrazione di un dirigente licenziato il 23 luglio 2020 per soppressione della posizione, ritenendo tale licenziamento nullo per violazione del divieto imposto dalla normativa emergenziale (articolo 46 del Dl 18/2020 prorogato dal decreto legge Rilancio): il “blocco” andrebbe infatti interpretato nel senso di vietare i licenziamenti “economici” individuali anche nei confronti dei dirigenti.

Il giudice giunge a tale sorprendente conclusione muovendo dalla pretesa ratio del divieto che, ispirata a un criterio di solidarietà sociale, consisterebbe nell’evitare che le conseguenze economiche della pandemia si traducano nella soppressione immediata di posti di lavoro, riverberandosi negativamente sui lavoratori. Esigenza ritenuta comune anche ai dirigenti, la cui esclusione, sostiene il Tribunale, porrebbe un problema di irragionevolezza in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione.

Il Tribunale prosegue la propria argomentazione, da un lato, individuando una incomprensibile discrasia nel fatto che i dirigenti, cui è applicabile la tutela in caso di licenziamento collettivo, a parità di giustificazione economica del recesso non vedrebbero operare il blocco in caso di licenziamento individuale, a differenza degli altri lavoratori; dall’altro lato, rinvenendo la medesima “essenza” che contraddistingue il giustificato motivo di licenziamento (articolo 3 della legge 604/1966), nella nozione di “giustificatezza oggettiva” del licenziamento del dirigente.

Ciò consentirebbe di ritenere che il riferimento della norma emergenziale all’articolo 3 della legge 604/1966 sia volto (unicamente) a identificare la natura ostativa della ragione posta a fondamento del recesso e non, invece, a delimitarne l’ambito soggettivo di applicazione.

È tuttavia chiaro che una simile interpretazione sia di difficile condivisione per precisa (e più volte reiterata) scelta del legislatore che, non solo disponendo il divieto, ma prorogando la norma per ben quattro volte, ha sempre e invariabilmente confermato il riferimento all’articolo 3 - e non a “licenziamenti economici” tout court - pacificamente non applicabile ai dirigenti per altrettanto espressa decisione legislativa (articoli 2 e 10 della legge 604/1966).

Una lettura sistematica della norma nel contesto in cui è inserita dovrebbe portare a concludere che i dirigenti sono esclusi dal blocco, posto che la discutibile tenuta costituzionale della normativa emergenziale di divieto dei licenziamenti economici risiede nel necessario contemperamento che il legislatore ha operato garantendo alle aziende l’accesso – pressoché gratuito – ad ammortizzatori sociali di portata universale, dalla cui fruizione sono tuttavia pacificamente esclusi i dirigenti, per i quali è preclusa qualsiasi sospensione del rapporto in cassa integrazione.

A ben vedere, infine, la lettura «costituzionalmente orientata» cui accenna il Tribunale con il richiamo all’articolo 3 della Costituzione, condurrebbe a conclusioni diametralmente opposte a quelle indicate dal giudice, considerato che non si ha disparità di trattamento di situazioni eguali (tra dirigenti e altri lavoratori), bensì trattamenti diversi di situazioni, economicamente e ontologicamente, differenti.

L’ordinanza sembra quindi voler riscrivere più che interpretare la norma e, forse, una tale forzatura della volontà del legislatore potrebbe anche essere il frutto di un contenzioso privo di contraddittorio, dovuto alla contumacia della società che ha operato il recesso.