Controlli e liti

Il contribuente può sempre far valere gli errori in dichiarazione durante il contenzioso

L’ordinanza 16658 della Cassazione riconosce la possibilità ora prevista dall’articolo 2, c. 8-bis, del Dpr 322/98

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di Dario Deotto

Al contribuente è sempre data la possibilità di opporsi in sede contenziosa alla pretesa dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, sia di fatto che di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria. Si è espressa in questi termini Cassazione 16658/2021 (ordinanza), depositata l’11 giugno 2021.

Si tratta di un principio che risulta ora codificato nell’ordinamento tributario attraverso l’articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/1998, il quale dispone che «resta ferma in ogni caso per il contribuente la possibilità di far valere, anche in sede di accertamento o di giudizio, eventuali errori, di fatto o di diritto, che abbiano inciso sull’obbligazione tributaria, determinando l’indicazione di un maggiore imponibile, di un maggiore debito d’imposta o, comunque, di un minore credito».

In sostanza, viene stabilito che il contribuente - a prescindere dalla presentazione di una dichiarazione integrativa a proprio favore - può fare valere anche nell’ambito del processo tributario errori o omissioni (a suo favore) commessi nella dichiarazione originaria.

Questa norma, però, viene molte volte dimenticata dai giudici, i quali oppongono il mero dato formalistico (si pensi alle vicende dei crediti d’imposta non indicati nella dichiarazione) della singola norma di legge. La previsione dell’articolo 2, comma 8-bis, del Dpr 322/1998 – va ricordato – deriva dalla pronuncia a Sezioni Unite della Cassazione 13378 del 30 giugno 2016, in tema di ritrattabilità della dichiarazione.

La pronuncia a Sezioni unite della Cassazione (ancorché non “sempre lineare”) ha stabilito che occorre distinguere il diverso piano in cui operano le norme in materia di accertamento e di riscossione, da quelle che governano il processo tributario. Nell’ambito del processo tributario non possono operare, ad esempio – ha rilevato la Cassazione - eventuali decadenze prescritte per la sola fase amministrativa. A tal fine, è stato fatto riferimento alla disciplina dei crediti d’imposta non indicati nel quadro RU del modello dichiarativo.

La Cassazione a Sezioni unite ha stabilito che «il principio di capacità contributiva di cui all’articolo 53 Costituzione, il disposto dell’articolo 10 dello Statuto del contribuente - secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede - nonché il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, comportano … l’inapplicabilità in tale sede, delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa».

Questo perché «oggetto del contenzioso giurisdizionale è … l’accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand’anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente».

Così che la Corte ha statuito che occorre riconoscere al contribuente la possibilità di opporsi in sede contenziosa alla maggiore pretesa dell’Amministrazione finanziaria allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione ed incidenti sull’obbligazione tributaria, indipendentemente dal termine previsto per la presentazione di una dichiarazione integrativa a favore. È stato quindi affermato il principio di diritto che «il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall’articolo 2 del Dpr 322/98 e dall’istanza di rimborso di cui all’articolo 38 del Dpr 602/73, in sede contenziosa può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell’amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull’obbligazione tributaria».

Si tratta, in sostanza, di un principio “immanente” che andrebbe sempre ricordato, al di là del caso della recente ordinanza 16658/2021, dalla quale non si coglie, con sufficiente chiarezza, se il contribuente avesse presentato o meno una dichiarazione integrativa oppure, più semplicemente, avesse corretto il credito Iva effettivamente spettante direttamente nella dichiarazione successiva.

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