Il distributore di carburanti non è soggetto passivo d’accisa
Secondo la Ctr Lombardia il distributore era divenuto tout court responsabile dell’imposta pretesamente non assolta
La sentenza n. 1924/2000, del 18.9.2020, pronunciata dalla Commissione tributaria regionale per la Lombardia, sez. 7 (presidente Punzo, relatore Calà), confermativa di quella emessa in prima grado, al fondo della quale stava una imperfetta visione dell’ordinamento positivo, suggerisce qualche utile commento di carattere generale.
La controversia, esaminata e risolta dal giudice lombardo, atteneva, come risulta dalla narrazione resa dallo stesso giudice, a una presunta evasione dell’imposta sul consumo di carburanti liquidi.
La Commissione regionale ha ribadito che il distributore – pur non essendo il soggetto che immette in consumo il carburante – era divenuto tout court responsabile dell’imposta pretesamente non assolta.
Questa tesi conclusiva – affermata per la prima volta, a quanto consta, dalla giurisprudenza tributaria - è meritevole di una essenziale considerazione critica.
L’imposta sul consumo – talvolta denominata accisa, indicativa di un peso economico che accede al valore commerciale del bene – colpisce di fatto (sia pure non manifestamente) l’utilizzatore finale, che ha trasformato il bene tassato in energia proficua.
Il fatto e il momento impositivo dovrebbero dunque coincidere con tale atto conclusivo e a carico di chi lo compie. Tuttavia, per agevolare l’amministrazione finanziaria, l’obbligo economico, conformemente a un modello tradizionale, è anticipato e imposto all’imprenditore, che esegue attività necessariamente propedeutiche, col diritto di regredire nei confronti dell’acquirente.
Per le accise sugli idrocarburi (liquidi o gassosi) per autotrazione l’arretramento del prelievo è massimo. A mente dell’art. 2, testo unico 26.10.1993, n. 504, sono tenuti all’assolvimento del tributo i titolari di un deposito fiscale dei prodotti in questione: specificamente il produttore (o trasformatore) e l’importatore, che sono, in principalità, depositari fiscali, autori dell’immissioni in consumo.
Di tale natura è lo scenario imprescindibilmente definito dall’ordinamento. Se così è, la giurisprudenza tributaria lombarda, qui in esame, sostenendo che al distributore spetti, ciò nondimeno, di sopportare il peso del tributo, ha affermato un principio dissonante con la disciplina positiva.
Né la partecipazione, a un ipotetico, comune disegno evasivo, dello stesso distributore, che avrebbe consapevolmente commerciato liquidi sfuggiti all’accisa, potrebbe costituire, in mancanza di una norma derogatoria, la fonte del suo obbligo di assolvere il tributo, addirittura in sostituzione dei vari contribuenti prescelti dalla legge.
Solo nel caso di eccedenza quantitativa, rispetto alle risultanze dei registri, riscontrata negli impianti di distribuzione stradale (e – si badi – limitatamente a quelli non denunciati e quindi irregolari), l’art. 48 del testo unico assoggetta il gestore al pagamento del tributo: ma si tratta di fattispecie tutt’affatto diversa da quella considerata dalle Commissioni lombarde.
Sarà il Giudice penale, chiamato ad esprimersi su un caso, vero o falso, di reato, a condannare anche il distributore - di cui riconosca la correità attiva in un episodio di contrabbando - al risarcimento del danno (anche di fatto coincidente col tributo) in solido con gli altri prevenuti, in favore dell’Agenzia costituitasi parte civile. Di contro il giudice tributario, custode del sistema fiscale positivo, non può affermare la soggettività passiva del distributore, che non esiste, con la condanna ad una prestazione propriamente risarcitoria, che esula dai suoi compiti giurisdizionali.