Imposte

Il dumping fiscale interno soffoca l’Europa

L’ultimo rapporto del Tax Justice Network

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di Alessandro Galimberti

Ventisette miliardi e 600 milioni di dollari di tasse a stelle e strisce - cioè imputabili a multinazionali Usa - sottratti all’Europa da quattro Paesi europei, due comunitari, uno quasi ex, l’ultimo extra Ue. Il tutto senza colpo ferire e senza violare un trattato. Lussemburgo, Paesi Bassi, Svizzera e Regno Unito, in ordine rigorosamente di accaparramento, sono il bersaglio dell’ultimo rapporto del Tax Justice Network, un gruppo di pressione britannico di origine accademica, dichiaratamente non allineato, autofinanziato e oggi ormai radicato in mezza Europa.

Ma più che un indice puntato contro i Paesi “opportunisti”, definizione forse più appropriata rispetto a “paradisi” in questo contesto, l’analisi del Tjn è un atto d’accusa contro l’inerzia dei 27 Paesi dell’Unione europea in un momento storico che chiede al sistema pubblico risorse enormi, solidarietà e giustizia. Tutto quello, insomma, contro cui da anni lavora incessantemente il profit shifting, abile risiko che ogni multinazionale adotta per dribblare le insidie (cioè le aliquote) fiscali sovrane.

La ricerca del Tjn spiega bene, con un’immagine impressiva, che cosa sia il profit shifting intraeuropeo. Un dipendente di multinazionale Usa in Europa produce profitto in base al Paese dove lavora: 34 mila dollari/anno in Spagna, 36mila in Francia, 45mila in Italia, 46mila in Germania, con scostamenti tutto sommato omogenei. Ma, dentro lo stesso gruppo industriale, il rendimento del dipendente cambia miracolosamente avvicinandosi ai magnifici Quattro: vale 84 mila dollari /anno in GB, 575mila in Olanda (Paesi Bassi), 826 mila dollari in Svizzera che schizzano a 8milioni 832 mila per dipendente nel Granducato lussemburghese. Questioni di mera efficienza, di leale competizione tra sistemi economici? Non proprio secondo gli accademici britannici, che vedono in questo indice l’evidenza più chiara di spostamenti non fair, svincolati dal mercato e dalla produzione del valore e orientati solo ad abbattere la corporate tax. Anomalo, infatti, che le multinazionali Usa fatturino 271 milioni nei quattro paesi - lasciando solo 15,9 milioni di tasse, tax rate del 5,8%, media ponderata tra lo 0,7% del magnifico Granducato e del 10,5 % della GB - rispetto ai 102 milioni dichiarati nel resto d’Europa. Anomalo che il 94% del Pil del Lussemburgo sia rappresentato dai report di multinazionali Usa e che i profitti americani raccolti nel minuscolo stato alpino (610m ila abitanti, 0,1 del Pil mondiale) siano 3 volte e mezzo quelli realizzati nell’intero continente africano.

Anomalo ma non illecito, trattati alla mano. Questa analisi, tanto per iniziare, è possibile solo perché le multinazionali Usa svelano il proprio country-by-country reporting, in sostanza la dislocazione del valore transnazionale, cosa che le aziende europee non fanno pubblicamente perché non è previsto e perché gli stessi loro governi non lo vogliono. Solo che, continuando ad accettare questo doppio binario - morale, prima ancora che fiscale - l’Europa comunitaria rischia di continuare a perdere ogni anno tra i 25 e i 30 miliardi di tasse - dicono gli autori del Tjn - continuando peraltro ad alimentare il ribasso delle aliquote fisicali nazionali - solo quelle societarie, beninteso, 10% in meno solo nell’ultimo decennio - in una dinamica di dumping sempre più imbarazzante e doppiamente autopunitiva.

Non è facile vedere un’uscita da questo pericoloso avvitamento, anche perché oltre alle ragioni di convenienza (le stesse multinazionali tedesche non hanno interesse a divulgare pubblicamente la propria ottimizzazione fiscale, scrivono gli autori, e non mancano di farlo sentire al proprio governo nazionale) ci sono scogli di natura istituzionale e di funzionamento della macchina europea, che sulle questioni fiscali richiede il voto unanime dei 27. Unanimità che in un tale scenario di dumping continentale e opportunismo diffuso rappresenta quantomeno un miraggio,

Eppure l’Europa qualcosa deve fare, e subito, se vorrà trovare le risorse per fronteggiare la più grave crisi della sua storia - incalzano gli accademici di Tax Justice Network. A comimciare da una base comune imponibile per le società. Gli Stati membri dell'Ue dovrebbero valutare gli utili imponibili nella loro giurisdizione su base unitaria, prendendo una quota ciascuno dei profitti consolidati globali (non Ue) della multinazionale in proporzione alla quota della occupazione e vendite della multinazionale nel paese in questione, propongono dal Tjn, e senza ulteriori ritardi. Quanto all’aliquota base della corporate tax, dovrebbe essere del 25%, ma doppiabile e triplicabile per periodi determinati e in casi eccezionali. Quali casi? La pandemia Covid per esempio. Quali aziende? Quelle che per esempio, beneficiando del lockdown generalizzato hanno massimizzato i loro profitti, scrivono gli autori del network di giustizia fiscale.

Delaware, paradiso dell’anonimato

Il piccolo Stato del Delaware negli Stati Uniti di America è ormai famoso in tutto il mondo per i sui privilegi fiscali e societari tanto che lo scorso anno contava su circa 960mila abitanti la registrazione di almeno un 1,3 milioni di società di capitali. Solo nel 2017 nello stesso Stato americano si sono registrate poco meno di 200mila società. Tre le attrattive principali del Delaware la prima di tipo societario, la seconda legata alla riservatezza dei soci fondatori e la terza di tipo tributario. Riguardo la prima i costi e i tempi di costituzione e scioglimento delle società sono estremamente ridotti e contenuti con la possibilità di utilizzare fiduciari specializzati anche nella costituzione di società tutto compreso, ma anche la procedura di liquidazione e fallimentare nel piccolo Stato americano è molto richiesta poiché più veloce e molto meno onerosa rispetto agli altri Stati. Anche l'anonimato sulla titolarità effettiva delle società era molto attrattiva; fino allo scorso anno era di fatto impossibile anche per le autorità federali americane conoscere il vero proprietario dalle società dalle autorità locali del Delaware. Infine le società del Delaware per gli introiti effettuati al di fuori degli Stati Uniti sembrerebbero godere di una sostanziale esenzione fiscale se a questa non imposizione si aggiunge che molti dei beneficiari effettivi di queste società sono soggetti residenti o cittadini non statunitensi, queste società risultano non interessare l'agenzia delle entrate americana (Irs).

Relativamente all'anonimato societario sono stati fatti dei passi avanti poiché da circa un anno ormai lo Stato americano ha approvato una proposta federale sulla lotta al riciclaggio di denaro e all'evasione fiscale. Per cui oggi anche in Delaware è obbligatorio far conoscere alle autorità il titolare effettivo delle società ed ormai il governo federale dovrà occuparsi anche della materia relativa alla proprietà effettiva delle aziende.

Tuttavia, poiché gli Usa non hanno adottato lo standard Ocse sullo scambio automatico di informazioni fiscali (Crs) ma hanno imposto il loro standard circa l'obbligo per gli altri Paesi di comunicare solo le informazioni fiscali sui cittadini e sui residenti statunitensi, per ora - se non su base spontanea o volontaria delle autorità americane - non è ancora possibile risalire ai titolari effettivi delle società del Delaware.

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