Controlli e liti

Il mancato accordo non comporta la rinuncia all’istanza di accertamento con adesione

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di Roberto Bianchi

Il verbale di constatazione del mancato accordo non integra una situazione omogenea a quella di definitiva rinuncia all’istanza di accertamento con adesione e pertanto, allo stesso, non può essere riconosciuto il valore di atto idoneo a interrompere il termine di sospensione di 90 giorni, previsto dagli articoli 6 e 12 del Dlgs 218/1997, correlato alla presentazione dell’istanza di accertamento suddetta.
A tale conclusione è giunta la Corte di Cassazione attraverso l’ordinanza 3278/2019.
I Giudici di piazza Cavour si sono pronunciati sugli effetti del mancato raggiungimento di un accordo in sede di accertamento con adesione affermando che, in base a quanto previsto dall’articolo 6 del Dlgs 218/97, il contribuente può, nel rispetto del termine previsto per l’impugnazione, presentare la domanda di adesione con conseguente sospensione del termine per il ricorso per un periodo di 90 giorni.
La questione era stata in passato affrontata anche dalla Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato che l’effetto sospensivo permane se le parti, dopo essersi incontrate, non hanno raggiunto alcun accordo. È ragionevole, inoltre, che la normativa di riferimento preveda che esclusivamente il contribuente possa far cessare la sospensione del termine di impugnazione proponendo ricorso avverso l’atto di accertamento, ipotesi equiparata dalla norma alla rinuncia all’istanza di accertamento con adesione (comma 3, articolo 6 del Dlgs 218/1997), oppure presentando una formale e irrevocabile rinuncia a detta istanza (Corte Costituzionale, sentenza 140/2011).
Nella circostanza in cui il confronto abbia sortito un esito negativo, la Suprema Corte ha affermato che tale situazione non è equiparabile a una rinuncia all’adesione, permanendo pertanto, in tale condizione, la sospensione del termine per il ricorso (Cassazione, sentenza 21148/2018).
Al contrario, qualora a seguito dell’incontro la domanda di adesione venga revocata, «non essendo più sorretta dalla volontà del contribuente di proseguire le trattative», la sospensione del termine si interrompe (Cassazione, sentenza 17439/2012).
Nella vicenda sottoposta al vaglio della pronuncia in commento, l’ente locale ha rigettato la menzionata istanza alla definizione agevolata, mentre il contribuente, in seguito, si è limitato a notificare il ricorso oltre il termine di 60 giorni.
I giudici di legittimità, riprendendo l’orientamento formatosi sul punto e pertanto ammettendo il ricorso del contribuente, hanno ritenuto la sospensione del termine di impugnazione dell’atto impositivo conseguente alla presentazione dell’istanza di definizione da parte del contribuente, non interrotta dal verbale di constatazione del mancato accordo tra lo stesso e l’amministrazione finanziaria.
Non per nulla l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 12 del Dlgs 218/1997 è indirizzata a favorire il più possibile la composizione amministrativa della controversia, in maniera tale che solo l’univoca manifestazione di volontà del contribuente possa escludere irrimediabilmente tale soluzione compositiva, facendo perciò venir meno la sospensione del temine di impugnazione (Cassazione ordinaria, sentenza 3762/2012).
L’ordinanza in commento si pone in continuità con l’orientamento giurisprudenziale in base al quale solo la rinuncia all’adesione, dichiarata dalla parte con atto espresso prima dei 90 giorni, fa cessare la sospensione del termine per la proposizione del ricorso (Cassazione ordinaria, n. 21148/2018).

Cassazione, sezione tributaria, ordinanza 3278 del 2019

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