Imposte

Il passaggio al regime per cassa genera redditi esagerati negli esercizi successivi

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di Salvina Morina e Tonino Morina

Dal 2017, il regime di contabilità semplificata prevede la deduzione integrale delle rimanenze finali nel primo anno in cui si applica il criterio di cassa.

È infatti previsto che il reddito d’impresa del periodo d'imposta in cui si applicano le disposizioni relative alle imprese minori in regime di contabilità semplificata è ridotto delle rimanenze finali che hanno concorso a formare il reddito dell’esercizio precedente secondo il criterio di competenza.

Il “passaggio” dal criterio di competenza a quello di cassa prevede perciò la rilevanza, come componente negativo, dell'importo delle rimanenze finali che, nella stragrande maggioranza delle imprese commerciali, determinerebbe una chiusura in perdita che, per legge, non potrà essere riportata negli anni successivi.

La mancata previsione del “riporto” delle perdite in anni successivi può comportare gravi conseguenze alle imprese con rimanenze finali di ammontare elevato.

Gli effetti che ne derivano potrebbero comportare:

1) un rilevante risultato negativo nel primo anno di “passaggio” dal criterio di competenza a quello di cassa;

2) rilevanti redditi d'impresa negli anni successivi.

Si può fare l'esempio di un'impresa che aveva, a fine anno 2016, una rimanenza di merci per 500mila euro. Se i ricavi dell'anno 2017 sono stati di 120mila euro e i costi 100mila euro, si avrà in effetti un reddito di 20mila euro; l'impresa, però, poiché dovrà dedurre l'importo delle rimanenze per l'intero importo di 500mila euro, anziché dichiarare il reddito di 20mila euro, dichiarerà una perdita di 480mila euro (500mila meno 20mila), che, in mancanza di altri redditi, non potrà essere portata in diminuzione nemmeno negli anni successivi.

Le conseguenze per gli anni futuri possono essere devastanti. Ad esempio, se nel 2018 la stessa impresa avrà ricavi per 300mila euro e costi per 60mila euro, dovrà dichiarare un reddito d'impresa di 240mila euro (300mila di ricavi, meno i 60mila euro di costi), con imposte e contributi da pagare, tra saldi e acconti, per oltre 300mila euro.

In verità, i ricavi di 300mila euro corrispondono per la maggior parte all'incasso derivante dalla vendita dei 200mila euro di merci che erano in giacenza al 31 dicembre 2016. In pratica, l'impresa:

1) ha conseguito nel 2017 ricavi per 300mila euro, costituiti dalla vendita di 60mila euro di merci acquistate nel 2017 e 200mila euro di merci che erano in giacenza al 31 dicembre 2016 (con un margine di guadagno di 40mila euro);

2) avrà rimanenze finali al 31 dicembre 2017 per 300mila euro, visto che l'importo di 500mila euro è stato ridotto di 200mila euro.

Il paradosso delle perdite
non riportabili

Nel caso esemplificato, a causa delle rilevanti rimanenze finali nel primo anno di “passaggio” dal criterio di competenza a quello di cassa e del mancato riporto delle perdite, l’impresa:

1) nel primo anno di “passaggio” al criterio di cassa dichiarerà una rilevante perdita per 480mila euro, in luogo di un reddito che, se determinato con il criterio di competenza, sarebbe stato di 20mila euro;

2) nel secondo anno, dichiarerà un reddito di 240mila euro, invece di un reddito di 40mila euro, se determinato con il vecchio criterio della “competenza” economica.

È evidente che, senza il riporto delle perdite, derivante dalla deduzione delle rimanenze finali nel primo anno di “passaggio” al criterio di cassa (lo stesso problema riguarda le imprese che optano per il “criterio delle registrazioni”), il regime di contabilità semplificata rischia di fare fallire le imprese.

Per rimediare ad una palese svista del legislatore, che non si è reso conto delle conseguenze che potrebbero derivare dal nuovo regime di contabilità semplificata, si può sperare in una norma correttiva, che, in caso di perdite, consenta il riporto delle stesse negli anni successivi, senza limitazione alcuna. Diversamente, sono a rischio fallimento oltre 2 milioni di piccole imprese.

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