Imposte

Il prezzo nascosto di norme disordinate

di Maurizio Leo

C’è ben poco da attendersi da una legge di bilancio di fine legislatura, se non l’usuale carico di interventi affrettati e asistematici di un legislatore con la mente troppo proiettata all’imminente scadenza elettorale. A tale destino non si sottrae neppure l’ultimo acuto della legislatura in corso, se dovesse essere confermato il testo di legge attualmente in discussione nelle aule parlamentari. In effetti, se è in qualche modo fisiologico - ancorché non auspicabile, vista la necessità, più volte ribadita, di intervenire celermente su un sistema caotico, vetusto e poco competitivo - che interventi di riforma radicale dell’ordinamento fiscale siano riservati a un Parlamento di fresca legittimazione popolare, è però doveroso pretendere che le ultime battute della legislatura non si lascino ricordare per il solito indecoroso teatrino dell’assalto alla diligenza. In effetti, il testo licenziato dal Senato non manca di fornire esempi di norme di portata asistematica, spesso destinate a regolare e incentivare specifici gruppi e categorie di interessi.

La legge di bilancio disvela, più in generale, un tratto di ridotta serietà – ci si passi il termine forte – verso il contribuente, che è tipica della legislazione di facciata degli ultimi anni. Esempio emblematico è quello dell’Iri, un regime impositivo introdotto dalla precedente legge di bilancio con decorrenza 2017 e, al tempo, accompagnato da tutti gli onori del caso, la cui attuazione è ora rinviata al 2018. Si scarica, di fatto, sulla prossima legislatura il peso, in termini di gettito, di tale misura, con una previsione che cambia in corsa i piani dei contribuenti e la loro programmazione, ancora una volta riducendo a carta straccia lo Statuto del contribuente. Il tutto senza considerare la circostanza che molti soggetti interessati hanno già versato minori acconti confidando nella serietà legislativa e potrebbero, oggi, paradossalmente vedersi raggiunti da sanzioni comminate per una colpa evidentemente non propria. Della serie: oltre al danno, la beffa.

Non si può, peraltro, sottacere un ulteriore rischio di questo approccio caotico alla legislazione, ovvero creare più danni di quelli che si intendono risolvere, magari a causa dell’emersione di effetti indesiderati in campi diversi da quelli di originaria ispirazione legislativa. Si pensi, solo per fare un esempio, alle novità in materia di procuratori sportivi. Il maxiemendamento approvato dal Senato prevede l’istituzione presso il Coni di un registro degli agenti, anche fissandone requisiti e condizioni d’accesso, a partire dalla residenza nell’Ue. La norma di fatto descrive l’attività dell’agente sportivo come quella tipica di un intermediario, dovendo questi mettere in relazione due o più soggetti ai fini della conclusione di un contratto, del trasferimento della prestazione sportiva o del tesseramento dell’atleta professionista. Ciò non è scevro da conseguenze fiscali. La riconduzione all’intermediazione della attività degli agenti sportivi dovrebbe implicarne la qualificazione imprenditoriale ai fini fiscali, con tutte le conseguenze di legge. Tra queste, la tassazione per competenza (salva l’eccezione del regime di cassa, ove applicabile) e l’obbligo di ritenuta alla fonte ex art. 25-bis del Dpr 600 in caso di soggetti residenti. Verrebbe da riflettere: è questa una scelta legislativa consapevole o solo un effetto indesiderato di una norma scritta con finalità extra-fiscale, magari con la volontà di rendere nulli i contratti di intermediazione di procuratori extra-Ue? La conclusione è sempre la stessa. Le leggi di bilancio degli ultimi anni ci hanno abituato al solito mercato della normazione fiscale di pessima qualità. Figurarsi quelle di fine legislatura. Più onorevole sarebbe stato limitarne il contenuto all’ordinaria amministrazione, nell’attesa che, al più presto, si ponga mano ad una seria riforma del sistema, preliminarmente sottoposta al pubblico dibattito, nei tempi e nei modi giusti.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©