Imposte

Il rischio finanziario non esclude i benefici

di Antonio Longo e Antonio Tomassini

L’ordinanza della Cassazione 10333/2018 e la sentenza della Corte di giustizia Ue del 31 maggio 2018, causa C-542/16, hanno riacceso il dibattito sulla qualificazione giuridica dei contratti di assicurazione sulla vita a contenuto finanziario.

Il punto nodale è la possibilità che, in alcuni casi, tali contratti siano considerati negozi con causa speculativa e finanziaria, risultando carente la funzione previdenziale tipica del contratto assicurativo e il cosiddetto rischio demografico, con il conseguente venir meno degli effetti civilistici (tra cui l’impignorabilità ed insequestrabilità delle somme dovute al contraente o al beneficiario) e dei vantaggi fiscali. È un dibattito animato, ma forse superabile, se si riporta nei corretti binari la pronuncia della Cassazione e si interpreta il quadro di insieme alla luce della giurisprudenza comunitaria e delle novità normative. Invero, l’orientamento giurisprudenziale (non univoco) secondo cui la spiccata natura finanziaria di determinati prodotti assicurativi ne comprometterebbe la causa previdenziale si è sviluppato rispetto ai contratti sottoscritti prima che le disposizioni del Tuf fossero modificate dalla legge 262/2005 (legge sul risparmio) e dal Dlgs 303/2006 (decreto Pinza), con l’espressa introduzione della categoria dei «prodotti finanziari emessi dalle imprese di assicurazione». Ebbene, l’ordinanza della Cassazione non sembra esprimere principi dirimenti a tali fini non essendo entrata nel merito - e non poteva essere diversamente - della qualificazione giuridica del prodotto assicurativo oggetto di causa (si trattava di una polizza del 2006 che, in mancanza della garanzia della conservazione del capitale a scadenza, era stata qualificata dal giudice di secondo grado come un investimento finanziario).

L’aspetto nodale affrontato dalla Corte ruota piuttosto attorno all’individuazione del soggetto “investitore” tra società fiduciaria sottoscrittrice della polizza e persona fisica fiduciante, ai fini degli obblighi informativi da parte dell’intermediario e dei presupposti per l’inadempimento contrattuale ove tali obblighi non siano adempiuti. In questo contesto, la recente pronuncia della Corte Ue ha poi affermato che «per rientrare nella nozione di contratto di assicurazione», di cui all’articolo 2, punto 3, della direttiva 2002/92 (poi modificata dalla direttiva 2014/65), è necessario:

• il pagamento di un premio da parte dell’assicurato;

• e, in cambio del pagamento, la prestazione da parte dell’assicuratore in caso di decesso dell’assicurato o del diverso evento previsto dal contratto.

In altri termini, secondo i giudici comunitari, il sinallagma assicurativo risiederebbe nel binomio versamento del premio/prestazione in caso di sinistro, senza che rilevino valutazioni circa l’allocazione del rischio finanziario relativo ai fondi sottostanti la polizza (si veda anche la sentenza 1° marzo 2012, C-166-11).

Del resto, gli interventi della giurisprudenza comunitaria sono in linea con le previsioni della direttiva 2016/97 sulla distribuzione assicurativa attuate in Italia con il Dlgs 68/2018: un prodotto assicurativo, che tale rimane, può includere anche elementi di investimento finanziario. Si definisce infatti «prodotto di investimento assicurativo» (insurance based investment product) - categoria che comprende le polizze di tipo unit e index linked e quelle di capitalizzazione - quello che «presenta una scadenza o un valore di riscatto e in cui tale scadenza o valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto o indiretto, alle fluttuazioni del mercato».

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©