Controlli e liti

Il risparmio d'imposta non rende elusivo l'usufrutto di azioni

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di Gianluca Boccalatte

La cessione di usufrutto di azioni non è elusiva soltanto per la ragione che risulta fiscalmente conveniente. Non può essere ravvisato, infatti, un fenomeno illecito ogni volta che si realizza un risparmio d'imposta. È quanto si evince dalla sentenza 1240/67/2014 della Ctr Lombardia, sezione staccata di Brescia (presidente Palestra, relatore Sacchi).
La controversia riguarda una cessione di usufrutto di azioni, effettuata nel 2003. In base alla ricostruzione che è possibile operare dal testo della sentenza, la società Alfa aveva acquistato l'usufrutto delle azioni della società Beta, la quale – nel periodo in cui è rimasto in vigore l'usufrutto (durato otto mesi) – aveva distribuito dei dividendi. Alfa aveva considerato il corrispettivo pagato come costo deducibile.
L'operazione è finita sotto esame da parte del Fisco, che ha ravvisato anomalie e indici di illiceità. Nello specifico, l'ufficio accertatore ha ravvisato che l'importo totale dei pagamenti per l'acquisto dell'usufrutto era esattamente pari alla cifra della distribuzione dei dividendi deliberata da Beta.
Di conseguenza, l'amministrazione finanziaria ha contestato che l'operazione fosse stata effettuata dai soci di Beta per finalità illecite, consistenti nella trasformazione del reddito imputabile da dividendo a reddito diverso (prezzo per la cessione dell'usufrutto), con conseguente ottenimento di un risparmio d'imposta scaturente nel differenziale tra le due tassazioni applicabili al caso concreto.
Partendo da tale assunto, l'ufficio – in relazione alle varie annualità accertate – ha riqualificato parte dell'importo percepito dai soci di Beta come dividendo. La parte restante è stata considerata come provento derivante da atto, fatto o attività illecita e, come tale, rientrante nella categoria dei redditi diversi, facendo riferimento alla lettera l) dell'articolo 67 del Tuir (ossia la norma che definisce i redditi diversi). Nella lettera l) sono ricompresi, infatti, i redditi derivanti dall'assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.
L'amministrazione finanziaria risultata soccombente in primo grado ha presentato appello in Ctr, che però ha confermato la precedente pronuncia.
I giudici della regionale hanno rilevato che l'ufficio non ha assolto all'onere della prova a proprio carico, in quanto non erano sufficienti gli elementi addotti nell'avviso di accertamento a dimostrare l'illeceità del comportamento contestata da parte dell'agenzia delle Entrate.
In particolare, il collegio di secondo grado non ha condiviso la tesi dell'ufficio in merito alla coincidenza tra il totale dei pagamenti per l'acquisto dell'usufrutto effettuato da Alfa a favore dei soci di Beta, e l'importo incassato da Alfa a seguito della distribuzione dei dividendi di Beta. Secondo la pronuncia 1240/67/2014, l'amministrazione non ha dimostrato che con l'operazione i cedenti diritto di usufrutto sulle partecipazioni «abbiano incassato le somme corrispondenti ai dividendi distribuiti dalla propria società sotto forma di prezzo di cessione dell'usufrutto, quali redditi diversi e non come redditi di capitale, evadendo le imposte dovute».
Inoltre, la Commissione regionale ha affermato che «il conseguimento del profitto non può essere penalizzato, quando la parte contribuente consegue vantaggi nel rispetto delle disposizioni di legge; diversamente opinando sarebbero lecite soltanto le mere operazioni economico-finanziarie recanti aggravi fiscali, la qual cosa non costituisce certamente la finalità del legislatore».

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