Il trust per cedere beni agli eredi non è un patto successorio
Il trust istituito per trasmettere un patrimonio ai beneficiari alla morte del disponente non ha la natura di un atto “a causa di morte” (mortis causa) ma quella di un atto “tra vivi” (inter vivos): lo affermano le Sezioni unite della Cassazione nell’ordinanza n. 18831 del 12 luglio 2019.
Si tratta di un’affermazione assai rilevante perché sgombra il campo, una volta per tutte, dal timore che, istituendo un trust con lo scopo di attribuire un vantaggio ai beneficiari del trust in coincidenza con la morte del disponente, si abbia una violazione del divieto dei cosiddetti “patti successori”. L’articolo 458 del Codice civile infatti vieta radicalmente che una persona possa disporre della sua eredità con un atto diverso dal testamento: e questo, principalmente, perché una delle caratteristiche centrali del testamento è quella di essere un atto revocabile in qualsiasi tempo dal testatore, senza che alcun limite possa essere impresso a questa facoltà di revoca.
Il tema è così sintetizzabile: se un soggetto istituisce un trust affidando un certo patrimonio al trustee e disponendo che questi trasmetta quel patrimonio ai figli di Tizio alla morte di costui, ci si trova nell’ambito di un patto successorio nullo o di un atto inter vivos lecito? La risposta della Cassazione è in quest’ultimo senso, per la ragione che il trust non comporta una «devoluzione mortis causa di sostanze» del disponente, in quanto il trust è «costituito con atto inter vivos» e realizza un trasferimento patrimoniale dal disponente al trustee, il quale ha il compito fiduciario di gestire i beni ricevuti dal disponente e di devolverli ai beneficiari al termine del trust. Costoro acquistano il patrimonio del trust «direttamente dal trustee e non già per successione mortis causa dal de cuius».
In altre parole, il decesso del disponente non è la “causa” della trasmissione patrimoniale ai beneficiari del trust ma è il momento nel quale detta trasmissione avviene: la “causa” della trasmissione patrimoniale è l’istituzione e la dotazione del trust e l’incremento patrimoniale che i beneficiari ottengono trova la sua fonte nell’istituzione del trust.
Una volta che il disponente abbia attuato la sua volontà istituendo il trust (vale a dire, la volontà di affidare al trustee la gestione di un dato patrimonio in vista del perseguimento di un dato scopo), il fatto che il trustee abbia il dovere di travasare ai beneficiari il patrimonio esistente nel momento in cui il trust cessa è da inquadrare come un evento meramente attuativo di una costruzione già consolidata nel momento in cui il trust è stato istituito: «La morte del settlor non ha alcuna rilevanza causale, potendo al più individuare il momento di esecuzione dell’attribuzione finale». Infatti, l'atto mortis causa è diretto a regolare i rapporti patrimoniali di un dato soggetto «per il tempo e in dipendenza della sua morte: nessun effetto, nemmeno prodromico o preliminare, esso è perciò destinato a produrre, e produce, prima di tale evento».
Pertanto, secondo la Cassazione, se il disponente istituisce un trust per finalità di trasmissione di un dato patrimonio ai suoi figli a far tempo dalla sua morte, questa strumentazione è da qualificare «in termini di donazione indiretta»: viene quindi posta in essere un’attività negoziale la quale realizza il risultato economico di una donazione (il decremento del patrimonio del donante e l’incremento del patrimonio del donatario, il tutto per spirito di liberalità) con uno strumento giuridico diverso dalla donazione formale e cioè diverso dal contratto stipulato nella forma dell'atto notarile in presenza di due testimoni.
Cassazione, Sezioni Unite, ordinanza 18831/2019